Addio maestro Kiarostami

Incerto

sono fermo ad un bivio,

la sola strada che conosco,

è quella del ritorno.

L’occasione oggi

è andata persa

come ieri

non ci resta

che dolerci del tempo.

La mia ombra m’accompagna,

a volte è davanti

a volte accanto

a volte dietro

che belli i giorni nuvolosi!

Non provo invidia

per nessuno

quando mi fermo a guardare

il vento

sul pioppo.

È una bandiera di libertà

la mia camicia

sul filo della biancheria,

leggera e libera

dai legami del corpo.

Il riflesso della prima luna autunnale

sulla finestra

ha fatto tremare i vetri.

Un ruscello scorre

in un deserto senza erba

alla ricerca

di chi ha sete.

Com’è difficile

contemplare il disco della luna

da soli…

Alcuni passi più avanti

il nocciolo della ciliegia,

sulla mia lingua

il sapore della ciliegia,

dietro di me

l’albero della ciliegia.

 

da “Un lupo in agguato”

 

Nel 1997 a Cannes veniva premiato Abbas Kiarostami per il suo splendido "Il sapore della ciliegia". Il mondo apriva gli occhi su uno dei più grandi cineasti degli ultimi anni, regista per caso forse, perché prima è cantastorie, poeta, mistico della laicità.

Iraniano attento ai problemi politici e sociali, mai ha perso l'incanto dell'innocenza immediata del racconto.

"Il sapore della ciliegia" narra, attraverso la storia di un uomo che vuole togliersi la vita, quanto importante sia non sottomettersi a uno sfrenato individualismo per non perdere il senso nella realtà. Quanto fondamentale sia la banalità del bene, altra faccia della ben più tristemente nota. Nonostante spesso il racconto sia finzione, il cuore resta a tenerci per mano.

Basta guardare il teatro naturale in cui è ambientato, terra e polvere che circondano Teheran, sormontate da uccelli neri che Van Gogh sembra aver dipinto di sua mano e abitato da anime sparse, di culture e credo diversi ma unite dalla difficoltà del vivere quotidiano.

Gli occhi del primo tentato complice, un giovane soldato curdo alla ricerca di sopravvivenza facendo il militare e del secondo, un seminarista afgano, candidamente centrato in ciò che crede.

Entrambi si rifiutano di aiutare il protagonista nel suo intento. Lui chiede una mano a porre fine alla sua decisione, attraverso un semplice ma atroce gesto.

Questi ragazzi però sembrano aver visto e vissuto troppo inevitabile dolore per decidere di contribuire a una decisione volontaria contro la vita, della quale ignorano le ragioni. Uno fugge, l'altro si nega.

Ma poi arriva lui. Qualcuno potrebbe chiamarlo Dio, se volesse. Per alcuni dio sono queste persone e quello che decidono di regalarci, per il semplice fatto che è giusto e bello.

Un uomo anziano, impiegato nel museo di storia naturale, con un figlio malato, che accetta di aiutarlo pur dichiarando il suo non essere d'accordo con la decisione.

E che per dissuaderlo racconta di sé e di come si sia trovato sullo stesso precipizio anni prima e di come il sapore dei gelsi in primavera lo abbia riportato al mondo. Ogni stagione dà i suoi frutti, gli dice. E gli dice anche che qualunque cosa deciderà alla fine, lui sarà suo amico.

Ed è questo che sembra smuovere il cuore del protagonista, più del dolce racconto sulla bellezza della natura cui non si dovrebbe rinunciare per il dolore che alla fine, tardi o presto, tocca a tutti.

È la purezza dell'uomo e della sua parola, il suo essere amico senza conoscersi, la barzelletta sul turco che ha male dappertutto se si tocca e che poi alla fine scopre che era il dito che gli faceva male (anche lui è turco).

E la canzone, in una lingua sconosciuta, che gli dedica prima di scendere dalla sua auto. Il protagonista giunge nel museo di storia naturale dove il vecchio lavora, pieno di voci e ragazzi allegri e speranzosi nonostante il difficile contesto circostante.

E qui la vita grida "sono qui!". E l'aspirante suicida vacilla, ha paura della nostalgia anche se da morto non la sentirebbe. Non si immagina più sottoterra, la luce è forte ora, ha di nuovo un odore. L'orizzonte si sposta anche per una musica improvvisa di vite a volte, ci sussurra Kiarostami.

Inizia a non essere poi così sicuro di rinunciare alla sorpresa del sapore delle ciliegie, ricorda i panni stesi al vento, leggeri e liberi.

La lunga notte che precede l'alba della sua scelta viene schiaffeggiata da una pioggia incessante e da un buio che nasconde il dramma, senza sforzo.

Il giorno dopo tutto pare sognato e la storia rimane sospesa, vista dagli occhi di chi alla fine scegliamo di essere, col profumo delle ciliegie nella testa e canzoni nuove da imparare.

 

 

05-07-2016 | 22:39