Alì ha gli occhi azzurri

Ultimamente è tutto un bel parlare e criticare le tematiche legate al mondo degli immigrati. I fatti di Tor Sapienza, per esempio, hanno turbato parecchie sensibilità ed è facile sentire discorsi, dal fornaio o dal medico di turno, di chi si schiera a favore o contro i nostri improvvisi e, troppo spesso, improvvisati concittadini. Quasi sempre chi parla ha esperienze monotematiche e riduttive del fenomeno o parla per sentito dire.

Quasi sempre questi discorsi sono irritanti, perché superficiali e propagandistici, comunque generalizzanti una realtà più sfaccettata di un diamante e che come tale andrebbe trattata. Con cura e attenzione, perché ad ogni modo stiamo maneggiando un valore inestimabile, che è quello della vita in comunità.

Claudio Giovannesi nel 2012 ha raccontato una bella storia nel suo “Alì ha gli occhi azzurri”, complice l’intensa e ruvida interpretazione del giovane Nader Sarhan e le immagini di una borgata dall’intenso sapore pasoliniano (tanti anni e tanta globalizzazione dopo).

Bella perché offre, senza intenti pedagogici né apertamente politici, una diapositiva della famiglia di emigrati con i figli nati qui, schiacciati fra la tradizione familiare e la prassi quotidiana di un paese lontano anni luce dalle abitudini del proprio e dei propri avi.

Nader ha sedici anni, è bello, atletico, maldestramente romantico, egiziano quanto basta da voler sembrare a tutti i costi italiano, nello spesso impossibile contesto della periferia romana.

La sua famiglia è una famiglia perbene. Il padre fatica a una pompa di benzina, la madre cura la famiglia e i figli senza alcuna concessione a qualsivoglia personale vanità. L’educazione, incentrata sui principi di fede e cultura musulmana, è al centro della didattica familiare. Il rispetto dei ruoli e delle regole deve valere in Italia come in Egitto, perché si è qui per lavorare e per avere più possibilità, non per perdere i propri valori e diventare dei selvaggi.

Ma Nader non ci sta. Lui si mette le lentine a contatto celesti, lui va in discoteca col suo amico del cuore, lui si innamora delle ragazze italiane. Lui parla romanesco e un po’ detesta i suoi che ancora non si integrano col linguaggio e i costumi locali. Dall’altra parte però non concepisce assolutamente che sua sorella possa fare lo stesso. Italiano sì, ma lui. Lei è femmina e non è lo stesso. E punto.

Quindi si lascia andare alla libertà comunemente intesa dai giovani italiani della sua età, felicemente contraddittorio e spaccato a metà. Ma quando combina un bel guaio, complice la testa calda e un amico cretino, si ritrova pericolosamente solo, in mezzo alla sua spaccatura esistenziale. Nell’utopia della sua vita, in nessun luogo, al cospetto di chi è parecchio più duro di lui. Scopre inoltre che il suo caro amico italiano, che forse i genitori “smart” , magari tatuati e alla moda, hanno tormentato meno con principi e regole etiche, ci mette due minuti a corteggiare sua sorella e a tradirlo. Scopre un’Italia che assomiglia più alle paure di sua madre che alle sue lentine color cielo.

E’ arrabbiato Nader, è pronto a cercar vendetta. Ma il suo animo, seppure tormentato da vergogna e incomprensione per il mondo da cui proviene, è stato nutrito da principi anticamente nobili. Fortunato Nader, molto più di tanti come lui. Sceglie la vita, seppure facendo un bel po’ di casini. Sceglie la verità e la bellezza, anche se non sa bene come e perchè.

Così come sua madre e suo padre, nonostante la severa condanna delle abitudini e delle azioni del figlio, apparecchiano il suo posto a tavola ogni giorno, pur non essendo certi che il figliol prodigo tornerà. Il suo posto è lì e sarà lì sempre, qualunque cosa succeda.

In un quartiere dominato da giovani e meno giovani allo sbando, dove anche i principi più fondamentali sembrano aver smarrito il proprio naturale ruolo, la famiglia di Nader possiede l’unica ricchezza che vince la povertà e il disagio sociale. La coesione, la forza dell’appartenenza a un microcosmo da proteggere ad ogni costo.

Dietro a un aspetto e a delle tradizioni diversi, forse, prima di urlare all’invasore e al pericolo, sarebbe sempre il caso di cercare di riconoscere i valori da poter assimilare per diventare migliori e crescere insieme, in un mutuo e proficuo scambio. Del resto o si scommette su questo o si è già perso, da entrambe le parti.

 

(Alì ha gli occhi azzurri, Claudio Giovannesi, 2012)

 

 

04-12-2014 | 16:09