Cappuccetto Rosso deve morire /14

2.
Teorie di delitto

09.00
“Potrei, giusto una mezz’ora”.
Non si era alzato alle sei come ogni mattina, ma aveva beccheggiato sul letto finché il rumore del Villaggio che si svegliava non l’aveva disarenato.
A quel punto, vedendo che giornata c’era intorno al suo balcone, aveva iniziato una complicata lotta interiore per decidere se andare o meno al mare. Giusto una mezz’ora. Cosa poteva essere una mezz’ora... con un morto in giro? Sì, ma tanto il morto è morto e io no, per cui potrei andare al mare... e prendere il sole tranquillamente a scrocco, questo si chiama peculato.
La lotta interiore si era conclusa con lui vincente e il suo Mestesso perdente. La scusante che si era dato era la solita: osservare mimetizzato l’ambiente in cui era maturato il “delitto”, perché – come diceva Wertham – «non si può comprendere la psicologia dell’omicidio se non si comprende la sociologia della vittima». L’ambiente è un dato fondamentale per capire come una persona arrivi a trasformarsi in vittima, come sanno tutti i laureati in criminologia. E il Commissario era fra questi.
Del resto, quello era il primo caso interessante e (perché negarlo?) suggestivo che gli capitava da molto tempo e non vedeva proprio perché doveva viverselo male, visto che non si trattava di un’eventualità troppo frequente.

Arrivò sul bagnasciuga e si posizionò, proprio come un comune villeggiante. Le sdraio erano per lo più vuote, perché i posti occupati dai congressisti erano assai meno della capienza reale del Villaggio e, dunque, della spiaggia. Questo dava al contesto generale un senso di desolazione vagamente inquietante.

Si calò il cappello bianco di paglia similpanama sugli occhi protetti dagli occhiali da sole e iniziò a goderne i raggi. “Perché Marco Lagri è diventato la vittima?”. Ricordava che uno studioso di nome Van Henting aveva formulato il concetto di “vittima latente” e aveva detto che si diventa vittime per tre possibili motivi: per fattori inconsci, per istinto di morte o perché si è un “collezionista d’ingiustizie”. Un altro studioso che il Commissario stava riesumando dalla propria memoria, Fattah, parlava di tre fattori di vulnerabilità: bio-fisiologici, sociali, psicologici.

Si distrasse delle sue elucubrazioni: una ragazza sulla sedia a rotelle era appena arrivata, spinta da una donna che sembrava sua madre, seguita da un codazzo di quattro o cinque ragazzi e ragazze. Sembrava una famiglia. La ragazza sulla sedia a rotelle era informe, sembrava mentalmente minorata, come quei bimbi a cui, probabilmente durante il parto o nella primissima infanzia, capita di ricevere poco ossigeno. La sollevarono dalla sedia e la misero su un lettino. Il Commissario si accorse allora che tutti i posti vicini alle tavolate centrali che consentivano l’ingresso in spiaggia erano occupati da handicappati: poteva trattarsi di anziani torti come ulivi, di persone con stampelle e cicatrici ben visibili sulle gambe, di gente sulla sedia a rotelle. I loro corpi, solitamente coperti da vestiti e agevolati dalle condizioni di vita della città, venivano scoperti dai costumi da bagno e dalla luce impietosa del sole. Un bambino giocava con la sabbia all’ombrellone davanti a quello della ragazza sulla sedia a rotelle, ma ripeteva sempre gli stessi movimenti scoordinati: era come se la sua mente si fosse incagliata su qualcosa.

“Non si può nascondere proprio nulla in spiaggia” pensò il Commissario.

La ragazza informe, budinosa, con le gambe a grissino e il resto del corpo enfio, girava gli occhi sopperendo al collo immobile. Ogni tanto qualcuno del suo seguito le muoveva la testa o le spalmava la crema. “Per un nazista sarebbe una vittima bio-fisiologica, culturale o psicologica?” si domandò guardandola “E Lagri?”.

Il Commissario si guardò intorno in cerca di qualcosa d’interessante e la sua mente riprese a vagare.

Chi commette un delitto, di solito, agisce sulla base di due meccanismi evidenziati da Weis e Borges (non Jorge Luis) negli anni ‘70: attribuendo la colpa alla vittima o legittimando culturalmente l’omicidio. Sono i classici meccanismi di razionalizzazione di un reo per agire senza sensi di colpa e/o inibizioni.

Ebbene, se si colpisce in testa qualcuno si tratta di uno scatto d’ira, solitamente. Ma se si architetta così bene la scena di un crimine (per giunta in una “camera chiusa”) allora si esclude automaticamente l’ira e subentra la premeditazione.

Che colpa attribuiva l’assassino a Lagri?

O si trattava di un omicidio “culturalmente legittimato”? Se era questa l’ipotesi, Seppi diventava immediatamente il sospettato numero uno, altro che Russo.

Tornò a guardarsi in giro. La donna con la cicatrice al ginocchio destro e la stampella era un po’ vizza, sembrava una cinquantenne quasi sessantenne, ma era ancora bella. Da ragazza doveva essere stata stupenda, col suo nasino sottile e gli occhi un po’ socchiusi. Col suo paio d’occhiali da vista stretti sembrava una maestrina. Vicino a lei era sdraiato un uomo che sicuramente era il marito. La barba era arruffata e si era lasciato crescere l’aureola di capelli superstiti sulla testa calva, calzava un berrettino da baseball nero con uno stemmino sul davanti e il pallore della sua cassa toracica gridava che quella era la prima o la seconda esposizione al sole dell’anno, aveva l’aspetto che nelle fiction televisive si dà ai giornalisti o ai professori un po’ matti.

“Hindelang, Gottfredson, Garofano: modello di vittimizzazione basato sullo stile di vita o sull’esposizione al rischio” pensò il Commissario. Siamo tutti un po’ vittime. Gli dava fastidio che tutti gli scrittori di polizieschi, tutti i criminologi da talk show, tutti i divulgatori della scientifica lasciassero intendere che solo l’assassino conta: per loro solo chi muove l’arma è il protagonista e il corpo per terra no. Il Commissario detestava questa faciloneria. Anche se detestava di più quando la vittima diventava sì la protagonista, ma solo per suscitare clamore e prendere i telespettatori per la collottola, magari con qualche servizio alla “Era una ragazza normale, piena di vita, ma il sogno è stato spezzato!”, “... uno studente modello, un bravo ragazzo, fino a quando il suo amico non gli ha sparato per un motivo banale, un litigio come succede normalmente fra ragazzi normali”.

La vittima è molto importante e per fortuna che non era l’unico poliziotto a pensarlo e a conoscere la “victim precipitation” di Wolfgang.

14-05-2015 | 12:18