Cappuccetto Rosso deve morire /23

3. 

15 giugno 2009

Anamnesi del delitto

01.00

Alle prese coi suoi disperati tentativi di prendere sonno, il Commissario rischiava di non addormentarsi più per l’ansia di non riuscirci. Era uno strano caso d’insonnia autoindotta: si era messo a letto e, siccome non si era addormentato subito, aveva iniziato a temere che, se non avesse preso sonno, l’indomani sarebbe stata una giornata tremenda. Questa preoccupazione l’aveva messo in ansia e l’ansia lo stava facendo agitare, così da perdere quella tranquillità fondamentale per addormentarsi.

Non riusciva a dormire perché si era messo in testa, l’indomani, di fare alcune cose, ma per farlo con la giusta concentrazione aveva bisogno delle sue ore di riposo ed ecco come aveva iniziato ad agitarsi.

Una volta preso sonno, per giunta, si svegliò di nuovo per colpa di un incubo: dei mamuthones che ballavano il tango figurato. Tentò di prendere sonno varie altre volte, fino alle 02.00, ma non riuscendoci decise di andare in giro per il Villaggio a passeggiare e a ricontrollare lui stesso tutti i percorsi possibili fra la stanza di Lagri e gli alloggi degli altri.

Lo sciabordio del mare si udiva lontano e impenetrabile, alternando quel suo rumore morbido e grattante con istanti del completo silenzio tipico dell’intervallo fra due mugghi.

Passeggiando ritornò su un suo vecchio pensiero. Da anni aveva notato che, ogni volta che una persona doveva legittimare o nobilitare di fronte a un’altra una propria scelta di vita o una propria condotta abituale, si appellava sempre al “dovere” o alla “fatica” che comportava: come a dire “mentre io faccio questo e mi costa fatica, altri, invece di fare il loro dovere, se la spassano come bambini senza pensieri”. A quel punto lui si era sempre chiesto una cosa: soffriva d’insonnia e quindi era sempre affaticato, per di più tutto quello che faceva per vivere lo faceva per dovere (visto che non aveva ancora vinto nessuna lotteria) visto che doveva vivere.

Ma allora perché quelli rompevano così i coglioni e a lui non gli passava nemmeno per la testa?

 

03.00

«Commissario, dobbiamo smetterla di vederci così». Era Labile. Indossava una giacca a vento blu, un jeans e delle scarpe da barca. «Anche lei non riesce a dormire?».

«No, mi è tornata l’insonnia».

«Io ne soffro sempre. Le va di fare due passi?».

«Certo».

Iniziarono a camminare sul bagnasciuga. “Non dovrei essere qui a chiacchierare con questa persona. Dovrei essere in giro a raccogliere prove. Certo, è notte, ma non dovrei essere qui a fare filosofia spicciola con un semisconosciuto” si disse il Commissario.

«Quello che io mi sono sempre domandato è chi ce lo faccia fare a spingere così a fondo i pedali per correre in salita. Purtroppo io non ho un’indole molto ambiziosa e non sono particolarmente competitivo. Probabilmente è un meccanismo di difesa (se fossi ambizioso e dovessi impegnarmi in un’attività senza avere successo probabilmente mi verrebbe la depressione), ma sta di fatto che secondo me il concetto di pigrizia andrebbe drasticamente rivisto. La terra non perché immobile è pigra» concluse il Commissario.

Labile stava soppesando un gesto della mano. Il Commissario si sarebbe detto certo che il manager lo aveva sorvegliato con la coda dell’occhio perché uscisse ben calibrato.

«Bisognerebbe stare attenti all’ozio, Commissario, senza un obiettivo ci perderemmo: come si dice, essere dappertutto significa essere in nessun posto».

«Quindi non ama oziare?» domandò il Commissario (cui la velata citazione di Montaigne fatta da Labile non era sfuggita).

«Vede, io sono meridionale e ho delle origini umilissime. Mio padre era un portinaio e mio nonno un contadino. Io attribuisco tutta la grinta che metto nel mio lavoro proprio alla fame, parlo della vera fame, che ho provato nella mia infanzia e che tutto sommato ti aiuta nella vita. Se sei spinto dalla fame la strada che percorrerai sarà quella giusta, a patto che tu abbia dei valori dentro di te. Cercherai di costruire qualcosa di solido, per mettere fra te stesso e la miseria del tuo passato quante più cose possibile, e ti preoccuperai che quelle cose siano abbastanza solide. Infatti, il mio cruccio è che i miei figli, non avendo vissuto le mancanze che ho vissuto io, non abbiano la mia stessa spinta a lavorare e a migliorarsi. Ma alla fin fine, quando mi chiedono qualcosa, non posso non pensare a quante volte non solo avevo chiesto e non mi era stato dato, ma soprattutto a quando non avevo chiesto nemmeno perché tanto sarebbe stato inutile».

Il Commissario sorrise: Labile aveva le normali paure di un padre manager che, arrivato in alto dal nulla, teme che i propri figli non saranno beneficati dalla tempra che la “vera fame” (come la chiamava lui) dà. Dava loro ciò che volevano, anche se fuori luogo (come i Ray-Ban al figlio di nove anni), perché lui non aveva avuto nulla: sostanzialmente era come se stesse donando al se stesso bambino.

Questo tratto così umano della sua personalità non poté che accarezzare le corde indolenzite del suo animo di sbirro.

Lui non era combattivo come Labile, era piuttosto di natura malinconica. Anzi, come diceva per prendersi in giro, malincomica.

Nei fatti più gravi o violenti ci vedeva dell’ironia, nella quotidianità spesso degli sprazzi di purissimo orrore. Un modo di ragionare paradossale, senza dubbio, ma che a volte riusciva a tenerlo fuori dalla banalità, e se non dalla banalità almeno dal cattivo gusto.

I sassi bianchi della campagna, attaccati gli uni agli altri come a formare un unico maestoso granello di sale grosso, davano albergo a piantine di mirto, perfino di salvia. Qui e lì sprazzi di terriccio addensati in cunette come ematomi. I tronchi riflettevano un’indecisione antica, che poi si era trasformata negli uomini in furore isolano e nei paesaggi in pura bellezza. Il Commissario cercava sempre di vedere quelle cose una per una per due ragioni: in quel modo apprezzava meglio quegli splendidi dettagli che altrimenti si perdevano ed evitava di essere sopraffatto da un’armonia dell’insieme così penetrante da lasciarlo letteralmente stordito.

«Sa, ogni volta che arrivava carnevale io mi vestivo da Zorro, ma non perché mi piacesse: perché era il costume più economico da realizzare, si facevano tre buchi sul fondo di un sacco per l’immondizia condominiale ed era fatta. Ora, se questo ti succede a sei sette otto o nove anni può persino piacerti o almeno non dispiacerti. Quando inizi a capire ti rompe un po’ le scatole. È così che viene fuori la risolutezza che ti serve per tenere fede alla tua traiettoria. Se c’è qualcuno da far fuori lo si fa fuori, salvo alcuni casi, e sempre che non si mettano di traverso fra me e i miei obbiettivi. Io sento che posso dare molto, che ancora non ho realizzato quanto, in potenza, sono in grado di realizzare, e siccome sono molto arrogante» disse sorridendo «voglio assolutamente dimostrare quanto valgo».

Labile spiegò anche come fosse naturale mangiare il prossimo, con vari modi e metodi, con tatto e senza lasciare scampo alla persona prescelta.

Il Commissario ascoltò con attenzione quel resoconto di normale etologia manageriale. Alla sostanza era il classico “mangiare o essere mangiati”, ma se in origine aveva almeno la dignità dell’istinto, col passare del tempo si era adornato di tanti sottili e apparentemente ragionevoli discorsi imbastiti da esperti e intellettuali, che si erano dati un gran da fare per confezionare un vestito di accettabilità a quell’abituale carneficina di colleghi. In realtà avevano solo perfezionato l’istinto con le meccaniche della razionalità e tutto questo solo in nome della scalata alla gerarchia aziendale.

Il Commissario ci pensò e trovò sbalorditivo che tante persone piene di bei titoli accademici si ritrovassero a scrivere incitazioni all’aggressività lavorativa gabellandola per “competitività”, rendendo la parola “efficienza” un sinonimo di violenza impiegatizia.

Si chiese chi mai fossero quelle brave e diligenti persone e quasi subito si rispose: erano gli sgobboni, quelli con poco successo sociale e personale, che vivevano nella realtà impietosa dei libri e si convincevano o facevano finta di convincersi che la panacea dei mali fosse la concorrenza, come se non si fossero accorti che la concorrenza è anche cannibalismo a un certo punto, e che è inevitabile andare a finire nel cannibalismo dato che ogni comportamento umano è come una sfera su un piano inclinato. E senza dubbio ci avevano pensato, lo sapevano benissimo: non erano certo degli inetti. Ma, come per tutti gli emarginati, il cannibalismo sarebbe stato uno spettacolo divertentissimo e magari godevano all’idea che tutti i loro compagni di corso abbronzati e belli, quelli che non faticavano a conquistare le ragazze, presto o tardi si sarebbero trovati a lottare a ogni minuto per non finire in mezzo alla strada.

Il valore economico-professionale elevato a unico metro di giudizio: è proprio l’idea che avrebbe avuto un sociopatico reso sadico dall’invidia.

«Lagri era così?» domandò il Commissario.

«In tutta la nostra professione c’è competizione. Siamo sempre sotto esame. Pensi a Seppi: non riesce a dire tre frasi senza specificare chi è e chi non è. È anche questa un’arma di difesa: far pesare continuamente la propria posizione. Da un certo punto di vista è proprio la paura a impedirgli di prendere il fazzoletto e di asciugarsi la bava».

In lontananza c’erano delle villette che norme ambientali draconiane e un po’ di senso civico avevano ridotto al mimetismo. Era stata la mediazione fra due distinti bisogni dell’uomo: quelli del corpo e quelli dello spirito, del riparo e della bellezza. Fuori da questa mediazione solo il caos. Ma se l’essere umano era arrivato a capire questo, come aveva fatto invece a non capire che quella finta competitività l’avrebbe presto o tardi distrutto?

Il Commissario pensò alla gente che aveva visto nel Villaggio, al modo con cui si trattavano reciprocamente, al modo con cui venivano trattati in piscina i bambini dei locali delle zone periferiche, al modo con cui venivano trattati i bambini dei locali sul mare quando finivano a giocare nel parchetto vicino alla reception.

Era quelli gli indizi di una continua tensione fra colleghi, di una lotta sottesa a ogni teoria. Anche se si dice che la collaborazione è fondamento da perseguire, inevitabilmente, direttamente o indirettamente, tutti venivano spronati alla lotta. Era cosa nota anche per i latini che per comandare c’era bisogno di divisione. Le persone devono avere sempre paura di prenderlo in culo e desiderare di metterlo in culo al proprio prossimo per salvarsi. “È sempre così” pensò. “Da sempre è così” si corresse. Inutile prendersela o recriminare, meglio farsene una ragione e vivere senza tormenti.

S’immobilizzò ed ebbe come un flash: più che un Villaggio gli sembrò improvvisamente l’isola Macquarie e ognuno dei villeggianti gli parse una baracca a sé stante di quell’isola spazzata dal vento d’Antartide.

«Vedo che ha la faccia contrariata, Commissario».

«Non ci badi. Purtroppo, vivendo su quest’isola, in un piccolo commissariato, certe logiche ormai non le conosco più. Mi sono diventate ostiche, come diceva il mio professore di greco».

Rimasero un po’ in silenzio e si accorsero di essersi spinti dal bagnasciuga all’entroterra. Passò un treno merci carico di tronchi tagliati e l’odore di legname si diffuse nell’aria. Il mare faceva a meno di ogni spiegazione e semplicemente parlava nel suo accento umido e frammentato.

«Nei primi anni ‘70, avrò avuto due anni, ero seduto su un gradino di marmo, di una piccola casetta di campagna dove stavamo all’epoca. Stavo bevendo del latte e mio nonno disse a mia madre: “Diventerà qualcuno, guarda come regge la tazza”. Me lo ha raccontato proprio lei: disse che era rimasto colpito dalla compitezza e dall’eleganza con cui mantenevo quella tazza. È un ricordo che ancora riesce a commuovermi».

Il Commissario apprezzò anche questo aspetto di Labile.

Se non fosse stato per questa sua capacità di essere profondamente umano, il Commissario avrebbe condannato quell’uomo senza scampo: manager cannibale. Invece, alla luce di quei flashback d’infanzia, poteva dire che spesso è proprio inevitabile essere spietati con gli altri: e Labile aveva realmente il diritto di cercare la realizzazione a tutti i costi.

Prese un mezzo sigaro dalla tasca e se lo accese. Nel farlo pensò all’esperienza che aveva lui delle realtà condominiali del sud: strano che nessuna condomina avesse pensato a regalare al piccolo Labile un costume vecchio del proprio figlio. Lui di solito aveva visto una certa solidarietà in quelle circostanze. Fece un paio di boccate e pensò che quella, sulla lunga distanza, era stata una fortuna per Labile.

Era proprio in quel modo che la classe abbiente aveva addomesticato i poveri per secoli: rabbonendoli di quando in quando con le sue elemosine (chiamandole “carità” davanti al prete) e i poveri (resi pigri e imbelli dall’ignoranza, ma nobilitati dal sinonimo buono di “servitù”, ossia “temperanza”) le accettavano accontentandosi. Un sistema inconscio che tutta una società innescava per mantenere lo status quo e autoconservarsi.

Aspirando il sigaro, il Commissario si domandò cosa sarebbe successo se una signora del palazzo un po’ più agiata delle altre avesse dato al piccolo Giovanni Labile un vestitino di Carnevale dismesso l’anno prima da un figlioletto coetaneo. Forse il piccolo Giovanni Labile non avrebbe colto il disagio di quella condizione miseranda e non avrebbe cercato in tutti i modi di affrancarsene: certe cose possono segnarti solo quando sei abbastanza piccolo.

Rimase col sigaro a mezz’aria. In questi casi sono le madri, specialmente le affettuose mamme meridionali, a mettere in atto stratagemmi come, per esempio, andare silenziosamente a procacciare il costume dalla summenzionata signora per diluire il senso d’inadeguatezza del proprio figlio. Il Labile bambino non aveva avuto neppure questo: sua madre aveva tagliato la testa al toro rifilandogli sempre il solito Zorro. Chissà se capiva il fastidio del figlio, chissà se ne provava a sua volta...

Probabilmente era per questo che reggeva così bene la tazza da bambino: aveva imparato alla svelta che da quella condizione ci sarebbe uscito solo con le sue forze.

Però, si disse aspirando di nuovo il mezzo toscano, se bisogna percorrere la propria traiettoria senza fermarsi, qual è il limite?

«Davanti a cosa si fermerebbe, Labile? Cos’è che per la carriera non si può fare?».

Labile divenne pensieroso e fece un cenno con la testa come a dire “Eh, bella domanda davvero”. Il Commissario dava delle boccate sempre più intense al sigaro, il cui fumo sembrava abbracciare l’aria come una tripla elica di dna.

«Il limite sono le cose che moralmente non accetti. Come rubare. O uccidere».

17-09-2015 | 12:39