Cappuccetto Rosso deve morire /26

Dopo aver guidato per una decina di minuti circa, la vide da lontano. Cercò di tallonarla quanto più discretamente possibile. Per fortuna indossava un ampio vestito rosso che al sole brillava come una macchia di tintura di iodio su una mano appena abbronzata. Stava pedalando di buona lena e a ogni discesa il commissario era costretto a seguire con la jeep dei sentieri secondari per evitare di farsi scoprire.

Se l’intuito non lo ingannava, la Giano stava andando verso il paese. Ma non quello vicino, dove di solito andavano i residenti del Villaggio, stava andando al paese che si trovava dal lato opposto, non sulla costa ma nell’entroterra. “L’unica cosa che c’è da quelle parti è l’ospedale” si disse il Commissario. In lontananza, poco dopo la discesa, ecco la traccia vermiglia di Roberta Giano che scivolava in bici verso il gruppetto di case.

A un certo punto, però, cadde. “Dannazione” pensò il Commissario, sperando che non si fosse fatta male: se per quella sfortunata coincidenza non avesse continuato il suo tragitto, si disse il Commissario, avrebbe perso un’ottima occasione di vedere che diamine aveva in mente quella donna. La vide parlare al cellulare, evidentemente aveva chiamato il marito perché l’andasse a prendere. Parlò poco, però, perché subito dopo iniziò a urlare e sbatté il telefonino per terra. Evidentemente il marito le aveva detto di cavarsela da sola. A quel punto, anche se avrebbe voluto con tutte le sue forze che quella maledetta caduta non si fosse mai verificata, il Commissario mise in moto l’auto e si diresse verso di lei per soccorrerla.

«Tutto bene?» disse arrivandole vicino con aria casuale.

«Meno male, Commissario. Quel bastardo di mio marito dice che non può venire perché sta parlando con dei medici».

«Capisco che i medici non le stiano simpatici».

«Mi aiuti».

La sistemò come meglio poté sul sedile del passeggero, mise dietro la bici e poi partì per l’ospedale.

«Dove va?».

«All’ospedale, è sempre meglio essere cauti».

«Ma io sto bene, solo una caduta».

«Non costa nulla fare un altro chilometro. In auto ci mettiamo un istante».

Il Commissario era deciso a non perdere quell’occasione: glielo stava servendo su un piatto d’argento quel dannato ospedale. Frattanto, sotto la gonna rossa, spuntavano le gambe abbronzate, il polpaccio ben definito, la pelle liscia e luccicante come una lacca cinese. Il Commissario stava avendo delle reazioni gastronomiche: aveva l’acquolina in bocca come se avesse fame e fosse davanti a una pizza. Quella donna gli faceva venire voglia di mangiarla, aveva ragione Labile: era “appetitosa”.

Si era distratto dalle rimostranze della donna per una decina di secondi e ormai si vedeva sul rettilineo della strada la punta dell’ospedale.

«Guardi, sto bene. Lo saprò se sto bene, le pare?».

«Lo so che lei è un ottimo medico, ma sono sicuro che un consulto con un collega non può far male».

La donna parve rassegnata, ma in un modo che il Commissario trovò strano. Come se, dietro la rassegnazione, ci fosse il fiato sospeso. Improvvisamente intuì con chiarezza che la donna era lì non per fare qualcosa, ma per vedere qualcuno, probabilmente un amante. “Certo, o questo o molto peggio” concluse.

L’infermiere la visitò subito. Frattanto il Commissario rimase fuori. Quell’ospedale gli ricordava uno dei primi casi che aveva risolto. Roba lontana nella memoria. Il fatto divertente, però, è che in quel caso c’era di mezzo... un momento... il Commissario si ricordò tutto... ecco cos’era quella sensazione...

Quando Roberta Giano uscì in corridoio, con una modesta fasciatura, il Commissario la studiò attentamente e subito capì che aveva ragione: aveva già incontrato Roberta Giano, l’aveva incontrata altrove, anni prima, ma si ricordava di lei.

17-09-2015 | 13:00