Due detective indimenticabili

La HBO dal 12 Gennaio 2014 ha inchiodato i suoi spettatori allo schermo per otto domeniche con “True Detective”, tanto da aver dovuto sopportare, durante l’ultima serata, un collasso del server pressato da sette milioni di utenti frementi che evidentemente non potevano aspettare un minuto di più per vederne il finale.

Nei primi giorni di ottobre del 2014, prima su piattaforma satellitare e poco dopo in chiaro sul digitale terrestre, anche in Italia diventa possibile seguirne la vicenda che è si investigativa, ma che allo stesso tempo è fuori da tutti gli schemi visti fin’ora.

Girato nel sud della Louisiana, tra i paesi della Chef Menteur Highway, “True Detective” ha due indiscussi protagonisti: Woody Harrelson col ruolo del Detective Marty Hart, che a distanza di vent’anni ci regala un’interpretazione pari al Mickey Knox in Natural Born Killers, e Matthew McConaughey che, reduce dal drastico dimagrimento per cui è stato premiato con un Oscar nella parte di Ron Woodroof in “Dallas Buyers Club”, dà vita al disturbatissimo Detective Rust Cohle. Harlesson e McConaughey sono anche produttori esecutivi di questa prima serie.

La riapertura di un caso richiama all’ordine i due poliziotti che, dopo diciassette anni, vengono costretti a ripercorrere gli accadimenti relativi ad un omicidio ed a tirarsi, letteralmente, su le maniche.

Sebbene il fattore scatenante sia sempre il male che agisce nella sua oscura follia lasciando vittime sacrificali decise dalla una lucida e distorta fissazione, gli episodi della prima serie di True Detective sono oggi, per la serialità di genere, lo stesso spartiacque che furono “I Segreti di Twin Peaks” di David Lynch nel 1990 rispetto al resto della programmazione a puntate.

Perfino Bernardo Bertolucci si è espresso dicendo che questa serie, ricca di piani-sequenza e campi lunghi attraverso sperduti canali della Lousiana, gli richiama alla memoria gli spazi che percorse nella pianura padana componendo il suo “Strategia del Ragno” del 1970. Cary Joji Fukunaga, che per la regia di “True Detective” ha vinto un Emmy, è lodato dal nostro maestro italiano per la messa in scena ed il periodo nel dialogo, nei quali ritrova i tempi cadenzati del cinema che lui amava e che oggi sempre più spesso il grande schermo ignora.

True Detective è una serie antologica, il che vuol dire che la storia inizia e finisce nelle sue otto puntate; non ci sono “cliff hanging”, quelle dinamiche che condannano alla suspance fin quando avrà inizio un prossimo ciclo di puntate. Ogni cosa si risolve, ciascun arcano si svela e se in corsa abbiamo notato qualche imperfezione, tutto si scioglie nella straordinarietà della vicenda. In agenda c’è già una nuova serie con nuovi attori, nuova location e nuovi misteri oltre che un nuovo regista, riuniti sotto la supervisione di colui che ha creato questo precedente: Nic Pizzolatto.

Come da titolo, e “True Detective” fu anche una rivista americana che dagli anni ’20 ai ’90 trattava di crimini, sono i detectives i protagonisti: è il loro rapporto a scandire l’indagine, è il legame che si instaura tra i due a riflettere le loro coscienze in immagini che, con una forza forse mai realizzata prima, attraverseranno la superficie dello schermo ed entrano dritte nell’animo di chi guarda, mettendo alla prova l’ordine di idee dello spettatore ed ipnotizzandolo. La solitudine dell’essere umano avvolge ogni personaggio, che sia reietto o socialmente benvoluto.

Per chi ne avesse la possibilità è più che consigliabile seguirlo in lingua originale con i sottotitoli: dopo aver ascoltato i monologhi di “Rust”, ogni volta che sentirete poi la voce di McConaughey, in una pubblicità, in un’intervista o qualsiasi altra interpretazione, vi verrà un brivido (per chi non potrà fruirne, si affidi all’interpretazione di Adriano Giannini per la voce di McConaughey e Pino Insegno per quella di Harrelson).

Matthew McConaughey, immediatamente dopo l’Oscar del 2014, accettò di partecipare ad un programma di Maria de Filippi e durante la conversazione con la presentatrice, pungolato sui cinque sensi, illustrò come preparare il “pollo alla McConaughey”.

Piuttosto americana e piuttosto semplice, la ricetta descritta dall’attore proponeva di aprire una lattina di birra con l’apriscatole e riempirla anche di tutte le proprie spezie preferite, infilarla nel posteriore di un pollo e metterlo nel forno per un paio d’ore, il tempo sufficiente affinché la birra evaporasse mentre l’ex pennuto, impalato, arrivasse a perfetta cottura.

Dopo aver visto True Detective, ammaliati da McConaughey, se mai deciderete di provare questa ricetta, prenderete si l’apriscatole come da sue istruzioni. Ma vi verrà voglia di aprire la lattina con un coltellino.

 

 

29-09-2014 | 01:01