E ora parliamo di Kevin

Questa è la storia di Eva (interpretata da una magnifica Tilda Swinton), donna indipendente e affermata sul lavoro, sposata a un uomo che ama e con cui vive a New York.  Ed è la storia di Kevin, suo figlio, mai e fino alla fine. Eva è una donna da rivista chic, bella, colta, raffinata, ossessionata dal rapporto col cibo e, in generale, da qualsiasi manifestazione di abbandono di un aplomb esteticamente in linea con la sua idea di algida bellezza, sia interiore sia esteriore.  Suo marito è un uomo mite, leggero, quasi un appendice dei suoi silenzi.  A stravolgere il quadro senza sbavature di un quotidiano moderno e metropolitano, giunge una gravidanza inaspettata, che indurrà la coppia a lasciare la metropoli per la più tranquilla provincia. “E ora parliamo di Kevin” è un film che andrebbe visto davvero da tutti coloro che si interrogano sui rapporti genitori e figli e, forse, ancor di più da chi sulla cosa si interroga poco.

Attraverso un sapiente utilizzo del mezzo registico, che si svolge su due binari con numerosi flashback (che lo spettatore sino all’ultimo spererà siano incubi, fremendo perché saprà subito che no, è tutto vero), crolla pezzo dopo pezzo la mitologia da pubblicità pannolini/biscotti/volemosebene innalzante la maternità a momento estatico di amore che non conosce ombre né crudi inciampi esistenziali. “Mamma, il mio dolore è un tuo piacere segreto?" - ci si chiede in "Sinfonia d'autunno" di Bergman: ed in questo film, l’altro protagonista, Kevin, il figlio, non atteso e allo stesso tempo oggetto di grandi aspettative, soprattutto affettive laddove l’affetto, dato per scontato, si dimostra un enigma, sembra coltivare la sua crudeltà per compensare l’inadeguatezza della madre rispetto alla maternità: come se volesse dimostrarle che sì, era sbagliato. Lei era “sbagliata” e lui deve farle male, pur amandola disperatamente. Deve farle vedere quanto è cattivo, quanto lei l’ha fatto cattivo, in un gioco straziante di reciproca affermazione e significazione esistenziale.

Kevin, interpretato dal giovane e intensissimo Ezra Miller, mostra il suo “vero” volto solo alla madre, rifiutandole sin da piccolissimo quelle che sarebbero le normali reazioni di un bambino con la genitrice. Si sente rifiutato e cerca di diventare un bambino cattivo, per non essere infelice. In un escalation di crudeltà compiute “per nessun motivo, questo è il motivo”, sino al finale, drammatico epilogo della storia, sembrerebbe invece seguire una ratio di ricerca del riconoscimento materno, di motivo del suo esistere nella vita di Eva. E’ infatti la madre l’unica “salvata” nella sua impresa di distruzione. Mi devi vedere, guarda come sono bravo a non essere bravo, proprio come te, sembra dire Kevin. Rassegnati, sono tuo, tu mi hai fatto così. Odiami, ma non mi mollare mai.

Non sarebbe giusto liquidare questa storia come la storia di una madre incapace di amare e di un figlio conseguentemente crudele, come alcuni hanno fatto. Questa è una storia ben più complessa, che ogni donna sentirà nella pancia sin dalla prima scena. E’ vero, Eva considera la gravidanza un attentato alla propria individualità: ma quando il figlio, per la prima volta, la cerca dolcemente perché malato, sembra non aver desiderato altro nella vita e certamente sarebbe disposta a ripensarla completamente  per un altro abbraccio così. Eva parte drammaticamente impreparata, non è facile per lei, ma vuole, vorrebbe, ama, è madre anche se non lo sa fare. Questo l’aspetto più struggente di questo racconto e purtroppo anche della vita di molte madri, come di tanti figli. Kevin dimostra di conoscere e di soffrire patologicamente le difficoltà materne nel suo rapporto con lui, eppure in questa storia tutto fa pensare che in una zona primordiale e carminia della sua anima, egli sappia molto bene che lei non lo abbandonerà. Nemmeno davanti al crimine più efferato, alle azioni più deplorevoli. E’ struggente, ma pensare che alla fine Kevin commetta i suoi orribili delitti proprio per sentire che sua madre, la sua algida madre incapace, è dalla sua parte come ogni madre sporca di sugo e col seno ballonzolante che sa dare i baci della buonanotte senza sentirsi scema, sembra l’unica spiegazione "accettabile" di questo racconto. (E ora parliamo di Kevin, Lynne Ramsay, 2011)

15-12-2013 | 02:41