Gianni Celati e Garibaldi

Gianni Celati è una delle voci più importanti della letteratura italiana nell’ultimo scorcio del Novecento e una sentinella profetica affacciata sul terzo millennio. Il critico Marco Belpoliti lo ha definito, senza mezzi termini, “Il più importante narratore italiano vivente”. Forse ha ragione, forse no, ma per esserne certi bisognerà attendere la decantazione del tempo.  Celati è uno scrittore colto e un narratore in apparenza sgangherato, “Uno che gioca non solo con se stesso e con noi lettori”, ha scritto Belpoliti, “ma anche con la letteratura, fa il verso ai libri, li prende in giro, così come dice di prendere in giro se stesso”. Bisogna partire di qui, da questa falsa contraddizione che lo colloca ai margini della letteratura attuale e insieme lo pone in avanti rispetto al suo tempo. Da leggere o rileggere La banda dei sospiri, il terzo romanzo di Gianni Celati, pubblicato da Einaudi in prima edizione nel 1976, poi con qualche correzione in Parlamenti buffi, di Feltrinelli nel 1989, dove reca il sottotitolo Romanzo d'infanzia. Nel 2015 il romanzo è uscito nuovamente per Quodlibet.

Racconta la storia di un allegro, puzzolente e tragicomico ragazzino di nome Garibaldi, e della sua sgangherata famiglia che include: un padre sbraitone e bestemmiatore, una madre sarta che fa compassione, un disgraziato fratello, inventore di storie strampalate e aspirante romanziere, e vari zii, nonni e cugini, ognuno con i suoi tic. Il piccolo Garibaldi, come ogni ragazzo della sua età, frequenta la scuola, descritta come un luogo strambo in cui a insegnare c’è un maestro pelato con la fissa delle poesie a memoria, e a tentare di imparare dei bizzarri compagni, che più che pensare a studiare sono soliti masturbarsi sotto i banchi mentre il loro insegnante svolge le sue lunghissime e noiosissime lezioni su Leopardi. In mezzo a questo divertente e giocoso sfondo, Garibaldi, con i suoi occhi di bambino, indaga sulle attività dei grandi come la politica, la religione e il sesso traendone delle spassose conclusioni. La banda dei sospiri è un libro comico perfetto che rallegra il lettore portandolo in un mondo infantile e colorato.

Per lui la cosa più importante non è scrivere, ma leggere e ascoltare. In un’intervista con Severino Cesari sul Manifesto dell’11 marzo 1989 ha dichiarato: “Leggere o ascoltare è una delle cose più difficili della vita, perché non si ascolta mai abbastanza bene quello che dicono le parole”. Ciò che conta è il ritmo delle frasi e del racconto, e in questo Celati è inconfondibile nel panorama della letteratura italiana del secondo Novecento: “La condizione d’esercizio della scrittura dipende senza dubbio da un andamento inerziale delle parole, che portano dove vogliono loro, mai dove vogliamo noi”.

Le storie di Celati sono popolate di personaggi strambi e lunatici, goffi, assurdi, tipici della linea ariostesca emiliana, da Zavattini a Cavazzoni, da D’Arzo a Delfini. Lontani dalle geometrie combinatorie di Calvino e Perec, i suoi romanzi degli anni Settanta innescano meccanismi onirici, isterici e paranoici, vicini al nonsense di Lewis Carroll e di Collodi e ai lazzi della Commedia dell’Arte, mentre i libri degli ultimi vent’anni mostrano una scrittura più distesa e controllata nella sintassi, attenta al trascolorare della luce e ai silenzi, sulla linea di Walser e Handke.

Così parla il protagonista di questo romanzo generazionale: “Come era composta la nostra scuola? Tutti scolari maschi! Le scolare femmine erano in un’altra scuola vicina, dove noi delle volte andavamo a fare rappresaglie contro le bambine che vorrebbero avere da noi corteggiamenti. Alle bambine noi gli sputavamo in testa perché non ci piacciono, siccome non hanno le tette!Era così. Io le mettevo un braccio intorno alla vita e stringevo tutto contento, perché non l’avevo mai fatto questo, di mettere un braccio intorno a una donna. Allora la scruto negli occhi e lei si lascia scrutare, sempre un po’ ridendo. Allora ridevo anch’io dalla soddisfazione, e adesso siamo molto abbracciati. E qui stavo a guardarle da vicino quel rossetto luccicante che porta sulle labbra, e mi chiedevo: sporcherà questo rossetto? Lei ha voluto darmi la prova che non sporca mollandomi un bacio. Un bacio a me sulla bocca, che mi ha dato all’improvviso. Ohè mi ha fatto girare la testa. Tant’è che dopo le mangiavo anche un po’ di capelli masticandoli molto entusiasta. Perché era proprio una roba da sogno questo bacio che non si dimentica, con noi due così stretti abbracciati per la strada quella sera. ….. Si pensava a quei tempi che se uno andava da una ragazza e la baciava, tutto era fatto e lei doveva essere sua fidanzata per sempre. Noi però non eravamo mai riusciti a dare a nessuna un bacio così, prima di tutto perché le bambine della nostra età non ci piacevano, e le mandavamo via con parole e sputi se venivano a fare le smorfiose. Secondo perché alle ragazze alte e signorine non ci arrivavamo ancora come altezza a baciarle sulla bocca, e dunque come fare?”

In tutte le amicizie ci si mette a vicenda in questa posizione. Vogliamo essere capiti, accettati, promossi. Perché siamo bravi, o almeno abbiamo lavorato, abbiamo fatto quello che dovevamo per passare, o magari non lo abbiamo fatto, siamo stati insufficienti, colpevoli; lo sappiamo bene, la nostra vita non va bene, ma vorremmo essere promossi lo stesso.  Gianni Celati  non accetta questo ruolo. Ti tratta un po’ come diceva Elsa Morante: se pensi che andrai in paradiso, andrai in paradiso, ma se hai qualche dubbio, allora c’è qualche dubbio. Non ti toglie colpa e complessi, se li hai ci sarà qualche ragione, saranno probabilmente delle buone ragioni, io ti aspetto oltre il tuo teatro interiore. Quindi camminare. Perché se non sappiamo – e quando mai sappiamo? – che almeno vadano le gambe e la bocca e raccontino non per passare dalla descrizione del mondo a un altro piano superiore, da dove si guardano le cose e si dice: ecco, così stanno le cose! Ma con le cose, nelle cose, senza spingere né resistere, facendosi parte del mondo, o almeno cercando di farlo. E il modo migliore per risolvere il problema dell’equilibrio è appunto camminare: mettersi a divorare distanze, come se uno avesse una manciata di ossi o di conchiglie tra le mani, che è solo un mucchio di frammenti confuso, poi li getta su un tavolo e quel mucchio prende una forma che si può interpretare.

 

 

22-06-2015 | 13:02