Il Barbaresco e il Barolo di Giacosa

Un produttore che ha fatto la storia dell’enologia italiana, un uomo che ha contribuito a rendere grande il nostro paese del vino, in silenzio: questo è, in estrema sintesi, il profilo di Bruno Giacosa, superati gli ottanta da qualche anno (è nato nel 1929), e una dedizione costante al suo lavoro, alla sua terra e alle variabilità dei micro-territori, così fortemente impressi nei vini che ha saputo plasmare, scultore dell’uva, nel cesello del legno. 

Chi ama il Barbaresco non può prescindere dal suo Asili (esposizione Ovest) e dal suo Santo Stefano: ciliegie, marasche, amarene, integre e franche che incontrano le sensazioni di maturazione del cuoio e delle spezie, della terra; il profumo del gesso, così classico a Serralunga d’Alba, sembra arrivare fino a Neive dove, grazie a vinificazioni attentissime e rigorose, vengono esaltate sensazioni di maturità ma, al tempo stesso, anche di freschezza ed estrema, vibrante eleganza. Così come chi ama il Barolo sa che il suo Falletto, massima espressione, appunto, della collina di Serralunga, sa tirare fuori l’anima della terra, il soffio, la forza, anche e soprattutto in esemplari lungamente affinati in bottiglia. Parla il vino dentro di noi, liquido magico che qui, grazie a vinificazioni attentissime e rigorose, e poi travasi, ancora travasi e il tempo, il tempo di aspettare, viene esaltato nella freschezza e nell’estrema, vibrante eleganza. Un lusso sottile, scheggiato, appena accennato, sussurrato, questo è in estrema sintesi il significato del Barbaresco Asili, qualcosa che non si può scrivere perché è. Concretamente. Nemmeno a dirlo, spettacolari le grandi annate, per chi abbia avuto il piacere di assaporarle: noi ne ricordiamo parecchie, sono segni indelebili della memoria, a partire dal suo primo millesimo del Cru Asili, quel 1967, rimasto agli annali per la sua perfezione. Sono esemplari di oltre venti, trent’anni che rivelano ancora e sempre un palato fresco, si potrebbe dire volubile, femminile di assoluta intensità e lunghezza. Incredibile constatarne l’evoluzione nel bicchiere, lentamente; quasi un procedere del piacere che porta tocchi di torrefazione, cacao, biscotto, richiami di buccia d’agrume: uno struggente esempio di perfezione. 

Bruno Giacosa, uomo del vino, esempio e paradigma: nelle sue parole il significato del suo lavoro: "Spesso mi sono visto attribuire la qualifica di tradizionalista, in realtà, sì, io sono profondamente legato all’espressione più classica dell’uva nebbiolo, perché sono convinto che non abbia bisogno di aggiunte esterne. Sono sempre rimasto legato, quindi, all’uso di botti piuttosto grandi per la maturazione di Barolo e Barbaresco e non ho mai voluto adottare le barrique, proprio perché ho visto che una lenta evoluzione, come quella che avviene in una botte grande, è il modo ideale per arrivare a vini che rispettino pienamente la personalità delle nostre uve e che migliorino per molti anni in bottiglia. Però devo anche dire che io ho sempre fatto dei cambiamenti, certo in modo lento, ma continuo. E anno dopo anno ho studiato come realizzare vini ancora più buoni, come trattare le diverse vendemmie e i cambiamenti di clima che, comunque, ci sono sempre stati tra una vendemmia e l’altra. Un tempo, ad esempio, facevo macerazioni sulle bucce che arrivavano a due o addirittura a tre mesi: ma quando non ho più avuto a disposizione delle uve che consentissero delle macerazioni così lunghe, ho ridotto gradualmente, e oggi è raro che superi i 20 giorni di contatto tra bucce e vino…”. 

Barolo Vigna Rionda di Serralunga d’Alba 1968,dalla luce piuttosto tenue e dalle tinte mattone, tegola, terra cotta. Al naso è piuttosto complesso, morbido e dolce dal richiamo fruttato, ha inoltre il fieno umido, la terra smossa, una punta ferruginosa. Al palato c’è armonia: elegante, di seta, intenso e composto insieme, lungo e persistente, forte e sottile. Un Barolo di grande classe che ci porta là, nella collina dei sogni, a Serralunga, con quella nota del suolo che non dimentichi e ti accorgi che, come spesso afferma Bruno Giacosa, la vinificazione è molto meno importante della provenienza dell’uva e del lavoro in vigna. 

Barbaresco Santo Stefano di Neive Riserva 1985, luminoso e brillante nelle tinte audaci del rosso, appena increspato da venature aranciate. Al naso è strabiliante la nettezza e precisione degli aromi, quella aristocrazia del frutto croccante, turgido, la nota balsamica appena accennata. Al palato, una delizia: l’armonia piuttosto selvaggia, perimetro perfetto, integro e saldo tra materia, alcol, sviluppo e maturazione in bottiglia. 

Barolo Falletto di Serralunga d’Alba Riserva 1986, dalla forte lucentezza e brillantezza nelle tinte, svela una forza aromatica quasi trasgressiva, nuda, senza interpolazioni, tanto vivo è l’impatto del terroir. Un Nebbiolo puro, essenziale non coperto dalle tecniche di vinificazione che indurrebbero alla sola estrazione del frutto. Nel calice, invece, esce un tutt’uno: terra-uva-frutta. Il piacere di questo vino sta nel suo carattere, nella profondità, nel vigore. Esemplare ancora in divenire, forse, ancora troppo giovane per essere bevuto. 

 

(foto di Francesco Orini)

25-12-2013 | 01:03