Il mistero della Bibbia del diavolo

Quasi ottocento anni fa, intorno al 1230 d.C., nelle stanze oscure di un monastero della Boemia, terra misteriosa dove ancora oggi sono ambientati horror (come Hostel) e romanzi gotici, prendeva forma il famigerato Codex Gigas, ossia “Codice Gigante” (su cui si possono leggere i saggi di Richard Dubell tradotti in Italia da Piemme): un manoscritto enorme, del peso di 75 chilogrammi, lungo quasi un metro, 50 centimetri di larghezza e circa 20 di spessore. Un pezzo decisamente anomalo nell’ambito della produzione medievale dei manoscritti, allineata in genere su misure molto più ridotte.

Al di là delle dimensione, questo codice, passato da religiosi a sovrani, tra cui Cristina di Svezia, miracolosamente salvatosi da un incendio, e oggi custodito a Stoccolma, nella Biblioteca Nazionale, è noto, alla luce del contenuto, con un altro nome, piuttosto sinistro: la Bibbia del diavolo. Sì, perché oltre alle Sacre Scritture, a opere di Isidoro di Siviglia, Giuseppe Flavio e altri, contiene esorcismi e scongiuri, ma soprattutto una enorme, inusuale, inspiegabile immagine a tutta pagina del diavolo, circondato da ombre e incorniciato dentro un anomalo riquadro (nella foto).

Soprattutto, è difficile giustificare come possa la scrittura del codice essere così uniforme, se solo si pensa che, secondo i calcoli di alcuni studiosi, dovrebbero essere serviti 20 o forse 25 anni perché una stessa mano potesse portare a termine il lavoro di una vita. Ma, al di là delle stranezze che accompagnano la parabola del manoscritto (o forse, in effetti, proprio per queste), si è diffusa una storia inquietante, anche se più simile a una leggenda che a una ricostruzione credibile.

Si narra infatti che un monaco (l’Hermannus inclusus segnalato sullo stesso codice? Ma la congettura è fragile) si rese responsabile di un peccato gravissimo, che lo avrebbe certamente condannato alla pena capitale attraverso una terribile morte per inedia (sarebbe stato murato vivo in una stanza del monastero). Allora, per salvarsi la vita, egli promise di portare a termine la copiatura della Bibbia in una sola notte: un servigio prezioso per un monastero, e tuttavia umanamente impossibile. E così, per salvarsi la vita terrena e riuscire nell’incredibile impresa, vendette la sua anima al diavolo e lo raffigurò nell’enorme disegno che rende celebre il codice.

Sono narrati anche altri aneddoti sinistri nel corso della singolare parabola di questo manoscritto. Un esempio: Eugéne Fahlstedt raccontò che nel 1870 il suo amico August Strindberg andò, a tarda notte, con alcuni amici a vedere il Codex Gigas. Appena estratto il codice dallo scaffale, misteriose fiamme sulfuree illuminarono la Bibbia del diavolo, rendendola così leggibile.

Tuttavia, leggende a parte, resta il mistero delle ombre intorno alla gigantesca figura di satana: gli studiosi hanno recentemente ipotizzato che possano essere causate dalla luce, in quanto quella pagina fu la più letta e la più esposta nel corso di tanti secoli. Un’altra anomalia è data dalla forma sorprendentemente corretta del testo, aspetto che, nella divulgazione saggistica e televisiva, ad esempio nel recente documentario targato National Geographic, viene segnalato senza un particolare rilievo.

E tuttavia è calcolato che un amanuense, nella sua meccanica attività di scrittura, commette almeno un errore a pagina (in codici di dimensioni standard peraltro più ridotte) nel corso di una normalmente attenta attività di copiatura. Ma anche questo è un mistero destinato a rimanere senza risposta, insieme ai tanti altri interrogativi che segnano la parabola di questo codice. Che per secoli intimorì persino i potenti sovrani che lo possedettero.

 

 

 

08-11-2014 | 22:45