Il piatto più buono dell'anno

Capesante scottate con crema di tartufo nero, cavolfiori, caviale e succo di rape

Le Calandre - Sarmeola di Rubano (PD) - Chef Massimiliano Alajmo

Con plesso, ovvero con intreccio. Le parole di radice antica parlano, dicono dal profondo, e la complessità (non la complicazione, ombra degenere) dice dell’esser suo un abbraccio, un’avventura tra il molteplice, gioco tra le parti di varietà e mutevolezze elusive il taglio analitico. Distillato o sottointeso, la semplicità è tale se interna a contesto dal quale emerge per rivelazione, essenza o spaccato. E l’Osso dall’ultimo menù di Alajmo, spaccato appunto, è lo squisito semplice, sempre uguale a se stesso. Le Capesante invece il piatto più complesso mi sia mai capitato d’incontrare. In concetto e tecnica un vertice tra le memorabili sinfonie del gusto apparse nel ridotto canonico d’un incavo di porcellana. "In.gredienti" al top: capesante, caviale, tartufo nero, cavolfiore, rapa rossa, chips, rosa. Le piccole noci scottate appena. Coperte da succo colante di rapa rossa, sormontate da caviale. Tartufo e cavolfiore entrambi in crema, sfondo carico di pathos, a conferire un senso di nobile mistero alla composizione. Pettini di cavolfiore e minuscole chips, decorazione in forma e consistenza. Profumo di rosa, solo un’eco. Quale il segreto? Il calibrato dosaggio delle diverse parti e il progetto di loro incontri e collisioni, in equilibrio continuamente cangiante al gusto. Non c’è un mezzo che sia in grado di rendere un tale intreccio di sensazioni. Pur finita da alcuni minuti la degustazione, l’opera continuava ancora evolvere sulle papille, a dire in memorie centrali e periferiche, in modo mai così vivo, presente. Alchimia sulla quale nondimeno si può tentare di gettare ulteriore uno sguardo. Partendo ad esempio da due osservazioni di carattere generale su un piatto che così efficacemente e in più maniere esula da taluni canoni: non vi si rispetta l’equilibrio tra i sapori cosiddetti fondamentali, in particolare l’acidità (mantra di una certa visione già cruciale nel sentire moderno) è ridotta a un minimo, e tra le tante mineralità vegetali (rapa rossa, cavolfiore, tartufo nero) non compare, che qui per sua natura striderebbe, l’evidenza prima, verde, della sintesi clorofilliana, sempre più esibita urbi et orbi sulle tavole stellate (…dal Sole a Vega). Per proseguire poi con lo schema visivo-olfattivo-gustativo. L’impatto visivo: un rosso, un bianco, un nero, netti e brillanti, sagacemente combinati, che sia rimandano a suggestioni da grande arte pittorica, sia attivano, mettono in moto i meccanismi della sorpresa gustativa, nell’impossibilità di ridurre l’insieme a uno schema mentale noto, di prevederne l’esito ai successivi passaggi nelle scansioni olfattive tattili gustative. L’impatto olfattivo (nella maggior parte dei piatti di Alajmo decisivo, e affatto casuale): sottile fraseggio di scottato della capasanta, di acuto del cavolo, di grave del tartufo, e, calando, di punteggiatura d’ittico (che si percepirà poi salire di tono alla masticazione), e di alone, lontano ma chiaro, della rosa, vapore in essenza. Nello specifico è l’olfatto, solo e poi coniugato inscindibilmente al gusto, che per primo sempre parla. Tramite questo senso in apparenza trascurato, per vie che sono dapprima inconsapevoli, sentiamo dire del nostro arcaico (limbico), delle emozioni (amigdala), dei ricordi profondi (ippocampo). Il gusto, mescolando leggendo decifrando dalla bocca ai sistemi centrali le curve dei singoli elementi (in.gredienti) e le loro diverse sovrapposizioni, perviene a una sintesi che percorre tutte le aree cerebrali, comprese quelle del linguaggio. Di un grande piatto come questo si riesce a godere con tutti i sensi, …e alla lingua, ammutolita, che n’ha goduto, torna la parola.

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12-02-2015 | 14:08