Il silente disincanto di Melotti

Venne a farmi visita nella mia casa di Modena, in diversi incontri, tra il 1966 e il 1968, assieme agli amici Vanni Scheiwiller, Vincenzo Agnetti, Corrado Costa per organizzare, dopo tanto silenzio intorno alla sua arte, una sua mostra alla Galleria Comunale di Reggio Emilia.

In quegli incontri era molto presente l’ombra di Adolfi Wildt, altrettanto quella di Carlo Belli e del suo KN. Lo avevo conosciuto nel suo studio di via Leopardi a Milano. Un piccolo forno; decorava piastrelle per il pane quotidiano. Accanto, dentro teatrini portatili o su trespoli, figurine in terracotta su fili di metallo oscillanti per raggiungere, qualche centimetro più in alto, ritagli nella latta, piccoli soli e lune a percorrere fantasiose orbite.

Ingegnere, progettava e costruiva castelli in aria, torri di carte da gioco. Costruzioni miracolosamente in equilibrio che un soffio, un solo sguardo disattento avrebbero potuto far crollare.

Animavano quegli spazi giocattoli di una geometria cosmica. Sfere, campanelli, tintinaboli a risvegliare sensi assopiti. Innocenza e infinita sapienza. Tutto in lui era armonia, danza, contrappunto, leggerezza, silente disincanto, distaccato sentimento. Il filtro della misura e dell’ascolto erano la sua arte; invitava ad affinare l’udito.

Lui che, sordo per gli altri, sordo non era. Sfinge sorridente.

 

 

(In copertina Fausto Melotti nel giardino del suo studio milanese, foto di Aurelio Amendola, dettaglio)

 

 

 

20-05-2014 | 02:44