Massimo Fini. Storia di un irriverente

Massimo Fini con la sua autobiografia Una vita – un libro per tutti o per nessuno, uscito per Marsilio, descrive uno splendido ritratto di un giornalista - se stesso - che ancora scrive non sdraiato e nemmeno nella classica posizione dei sottomessi al potere. È rimasto uno dei pochi. 

La ricostruzione, e i paragoni perfino irriverenti presenti, hanno impreziosito la compilazione di un perfetto pamphlet che andrebbe imposto negli esami per gli aspiranti giornalisti. I futuri "cani da guardia" potrebbero stabilire due tipi diversi di professione, come detto: sdraiati o con posizione di reverenza. Nella sua autobiografia l'editorialista del Fatto Quotidiano racconta gli episodi più significativi della sua lunga esperienza giornalistica, dalla lettera a Gianni Agnelli  - che il Corriere commissionò ma poi decise di non pubblicare - alle tre domande che spaventarono Berlusconi, tanto da rifiutare l'intervista, passando per l'incontro con  grandi dive del cinama e personaggi che hanno fatto la storia del nostro Paese. 

Passaggio impossibile da tagliare: “Non ho mai attribuito tanta importanza alla mia persona dal sentire il desiderio di raccontare ad altri la storia della mia vita. Molte cose dovevano accadere, molti più eventi, catastrofi e prove di quanto solitamente tocchi a una generazione, prima che trovassi il coraggio di iniziare un libro che ha il mio io a protagonista o per meglio dire quale centro. Cosi scrive ne Il mondo di ieri Stefan Zweig, letterato austriaco nato nel 1881, morto nel 1943. Quando compii quarantacinque anni li confrontai con quelli di mio padre che, nato nel 1901, era della generazione immediatamente successiva a quella di Zweig. Lui aveva vissuto la prima guerra mondiale, il fascismo, la seconda guerra mondiale, il tracollo del regime, la guerra civile, la caduta della Monarchia, l’avvento della Repubblica. Nella sua vita era successo di tutto, ma non era cambiato niente: i valori, i modelli, i costumi e, in buona sostanza, anche i modi di vivere erano rimasti gli stessi. Per la mia generazione (sono del 1943) e tutte quelle del dopoguerra e stato esattamente il contrario: non e successo niente, ma e cambiato tutto, valori, modelli, costumi, way of life. Zweig o mio padre, e tutti coloro che hanno appartenuto a quelle generazioni, si sono trovati a vivere degli eventi fondanti che li hanno costretti a delle scelte Sono stati, in maggiore o minor misura, protagonisti delle loro vite. Noi gli enormi cambiamenti avvenuti nell’arco della nostra esistenza li abbiamo vissuti passivamente, sono passati sopra le nostre teste. Si può dire si o no al fascismo o alla guerra, non si può dire si o no alla tecnologia o alla globalizzazione. Non sono eventi, sono processi inarrestabili che si insinuano nelle nostre vite, le avvolgono e le determinano senza che ci si possa far nulla. La mia vita, che qui racconto, ha attraversato questa terra di nessuno. Anche se ha qualche peculiarità (sono figlio di tre culture, italiana, russa, francese e ho fatto un mestiere, quello del giornalista, che mi ha permesso, forse, di avere un angolo di visuale privilegiato e più ravvicinato su certi protagonisti e su alcune situazioni, sociali, antropologiche e, in misura minore,  politiche) non si differenzia da quelle degli uomini e delle donne delle generazioni che si sono susseguite nel dopoguerra. Questo quindi e un libro per tutti. O per nessuno”.

Per descrivere la casa di Massimo Fini la giornalista Silvia Truzzi ha scritto: “Si vedono i grattacieli dalla finestra di questa casa in zona Repubblica. Ma è molto più interessante guardare dentro il salotto che così tanto assomiglia a chi lo abita. Due macchine da scrivere, librerie sterminate, divani scoloriti, quotidiani sparsi, un tiro a segno al muro, pacchetti di Gauloises rosse a cui staccare il filtro. Massimo Fini ha la sua divisa, maglietta e camicia in jeans, in faccia un sorriso irriverente, come tutto il resto in lui. La bussola dell'inquieto girovagare tra i quotidiani è la libertà: l'autonomia, la dignità, il potere, quelli che pagherebbero per vendersi. Con Dostoevskij nei Fratelli Karamazov, quale libertà ci può essere se l'obbedienza la si compra?”. 

Il primo lavoro è stato alla Pirelli. Era il '69, si era laureato in Giurisprudenza. Aveva fatto un liceo sciagurato, tipo che in greco non aveva mai preso più di tre. Avrebbe voluto fare Filosofia, non aveva la basi. Voleva fare bene l'Università e infatti ci è riuscito perché si è laureato con la lode. Sicuramene gli è servito aver studiato Legge. Non tanto perché ha cominciato come cronista giudiziario, ma perché la logica formale del diritto gli è stata utile. Soprattutto nelle polemiche. E’ un libro da leggere tutto di un fiato, rileggere e - possinbilmente - meditare.

Sentite quest'altro passaggio (con bravi così la recensione diventa facile): “C’era un altro personaggio che veniva di notte a casa mia. Era un ex giornalista dell’Avvenire cacciato dal giornale per omosessualità. Era, come si dice in gergo, un omosessuale di ritorno, cioè uno cosi irrimediabilmente brutto da non poteraspirare a nessuna ragazza. Cosi, senza lavoro, spendeva il denaro di famiglia a ‘marchette’ e la madre lo aveva fatto interdire. In epoche lontane, a meta degli anni settanta, quando vivevo ancora con mia moglie, mi aveva chiesto un prestitodi 300 mila lire, non poco per l’epoca, e non le aveva restituite. Lui era sempre rimasto nella ‘casa dei giornalisti’ in viale Ferdinando di Savoia, io vi ero ritornato nel 1985 dopo il divorzio. Quando di notte vedeva le luci della mia sala accese, perché  stavo scrivendo qualche libro, suonava alla porta. Io gli davo il mio tempo. Lui si sfogava, si confessava e alla fine, immancabilmente, mi chiedeva 50 o 100 mila lire e, in seguito, 50 o 100 euro. Adesso che sua madre finalmente e morta e rientrato in possesso delle sue proprietà, e diventato un uomo ricco e si e trasferito a Caserta non proprio nella Reggia ma quasi. Ogni tanto mi telefona per chiedermi delle mie interviste a Pasolini o comunque per qualche questione omosessuale. Ma mai che gli sia venuto in mente non dico di ripagare ma di manifestare una qualche riconoscenza per quegli antichi prestiti. Io certo non glieli ricordo. Par delicatesse j’ai perdu ma vie, scrive Rimbaud”. 

Insomma un libro in cui parallelemente alla storia del protagonista c’è tanta storia dei nostri anni. Ci sono Indro Montanelli, Giorgio Bocca, Enzo Biagi, Silvio Berlusconi, Vittorio Sgarbi, Ferruccio de Bortoli e molti altri. Difficile dire se tutte le persone citate, soprattutto quelle ancora in circolazione, saranno davvero contente di vedere pubblicati certi dettagli. Ma si sa, la libertà assoluta costa cara.

 

 

03-03-2015 | 18:02