Povera ragazza dall'orecchino di perla

In una delle sue opere più spirituali Dosso Dossi, nel 1524, dipingeva un soggetto singolarissimo. Seduto sopra una nuvola, al centro della tela, Giove è intento a dipingere alcune farfalle, allegoria dell’anima. Accanto, alle sue spalle, Mercurio che, volgendosi ad una fanciulla in atto di avvicinarsi, porta il dito indice alle labbra, a intimarle il silenzio. “L’opera dell’artista non può essere portata a termine se non nella sacralità del silenzio. Oggi, a distanza di quasi cinquecento anni da quella poetica invenzione, quell’opera assume un significato profetico e quel dito emblematico ha ancor più ragione di essere portato alle labbra, e non solo nell’arte”.

Queste parole, scritte da Claudio Parmiggiani qualche anno fa, a commento del dipinto di Dosso Dossi, potrebbero essere usate oggi, contro quelle esposizioni mostruose che fanno del clamore e del successo commerciale il loro unico obiettivo. Mostre ridotte a triste ornamento ludico per carovane di turisti inconsapevoli che – nell’illusione di partecipare all’appuntamento imperdibile – si spingono in gite fuori porta alla ricerca ossessiva dell’evento. Non più cittadini consapevoli, e portatori di una sana autonomia critica, ma clienti di un nuovo supermercato delle idee, vittime inermi di un bombardamento mediatico che mescola tutto: il fine col mezzo, l’arte con lo show. E allora capita che queste mostre, ludiche, ottimiste, salottiere, rassicuranti – lontanissime dall’idea di un’arte come urto, sussulto, “fuoco sotto la cenere” – portino in tour capolavori dell’arte mondiale come fossero rockstar, feticci in pasto alla peggiore sottocultura pop dei nostri tempi. L’arte, come la letteratura, dovrebbe avere invece il compito di portarci in mondi inesplorati, di accendere la luce nelle nostre zone d’ombra, di estendere il nostro orizzonte cognitivo, insomma di aiutarci a sviluppare un’autonomia critica sulle cose della vita. Perché se così non accade – sia che parliamo di mostre blockbuster sia di romanzetti di star televisive – significa che stiamo tornando per l’ennesima volta a casa, da mammà, e che vogliamo essere a tutti i costi confermati a noi stessi, cercando in queste facili intuizioni “artistiche” un rifugio dalla paura di esplorare mondi nuovi, di varcare confini inesplorati.

La foto di copertina rimanda immediatamente a una delle immagini più famose dell’arte, La ragazza col turbante di Jan Vermeer, in mostra in questi giorni a Bolgona a Palazzo Fava. Il titolo della mostra è La ragazza con l’orecchino di perla, ossia il nome più conosciuto del dipinto – che è stato anche titolo di un romanzo e di un film – e ha portato a Bologna, insieme a questo capolavoro, fino a maggio, altri dipinti della Mauritshuis, il museo all’Aja, in Olanda. Insomma opere totalmente decontestualizzate – come dicevamo – portate in giro come trofei, che invece andrebbero viste nel luogo in cui sono state concepite, per poterne meglio comprendere il senso, il contesto e la cultura nelle quali sono state pensate e realizzate. Dunque è preferibile non andare a vedere il capolavoro di Vermeer in gita – sic! – a Bologna bensì aspettare che il dipinto torni all’Aja – a poco più di un’ora di aereo dall’Italia – e goderselo, magari dopo aver letto qualcosa al riguardo, nel luogo più consono all’opera. A Bologna, magari per fare un simpatico dispetto, si può andare a vedere una piccola esposizione organizzata alla galleria Spazio Testoni: una collettiva dal titolo Ramake interpretazioni contemporanee de “La Ragazza con l’orecchino di Perla”. Ventiquattro artisti chiamati dalla galleria a presentare altrettante opere liberamente ispirate al dipinto di Vermeer. In questa mostra un artista, Giovanni De Gara, ha deciso di presentare un’opera molto intelligente (sotto nelle foto): incorniciare la mail nella quale chiedeva allo storico dell’arte Tomaso Montanari un’opinione sulla mostra di Palazzo Fava. Dopo averla letta prenotiamo un biglietto per l’Olanda. Ma dopo maggio.

 

 

From: giova dega 
Date: Sun, 2 Feb 2014 13:11:51 +0000 
To: Tomaso Montanari
Subject: Testo

Ciao Tomaso, 
mi è stato richiesto un quadro ispirato alla "Ragazza con l'orecchino di perla" per una mostra a Bologna.
Pensavo di esporre un tuo pezzo contro le mostre blockbuster.
Mi mandi qualcosa? 

 

From: Tomaso Montanari
Date: Sun, 2 Feb 2014 17:34:05 +0100
To: giova dega
Subject: Re: Testo

Caro Giovanni,
grazie, è una fantastica idea: nel mio prossimo libro (Istruzioni per l’uso del futuro. Il patrimonio culturale e la democrazia che verrà), che esce a marzo, ho scritto ciò che ti incollo qua sotto.
Un abbraccio,
Tomaso

 

Il vero fine del patrimonio artistico non è una tutela fine a se stessa, ma è la conoscenza. Quel fine che la nostra Costituzione chiama «lo sviluppo della cultura»: qualcosa che non può stare fermo, ma o progredisce o non è. Quello sviluppo che manca in ogni brutale operazione di marketing: che sia sostenuta da un sindaco, da un ministro, da centomila firme o da un grande gruppo imprenditoriale. Questo è il punto più delicato: e non solo per la storia dell’arte, come dimostra per esempio il caso Stamina. Il conformismo mediatico ci abitua a giudicare la qualità in base al consenso, e ad acquisire il consenso tramite una qualche forma di marketing fondata su elementi irrazionali ed emotivi che hanno a che fare con i meccanismi del desiderio: ma la conoscenza segue altre regole. Esibire la Gioconda (ma anche la Ragazza con l’orecchino di perla, o il David) come una reliquia magica, isolata e irrelata, non ha nulla a che fare con la conoscenza: anche se ci fossero in fila centinaia di migliaia di persone. Al contrario, occorre ricostruire un contesto che aumenti la nostra comprensione (del passato, e delle opere ancora presenti) e poi renderlo accessibile al grande pubblico senza tradire né le ragioni della scienza né quelle della comunicazione: ecco, questo vuol dire aumentare la conoscenza. Possiamo non vedere la differenza, sul momento: tutto, anzi, congiura perché non la vediamo. Ma, sul medio e poi sul lungo periodo, gli alberi si riconosceranno dai frutti: il marketing produce clienti, inconsapevoli e tendenzialmente infantili, mentre la conoscenza aiuta a formare cittadini consapevoli, e disposti a lavorare alla propria maturazione. 

Tomaso Montanari


Professore associato di Storia dell'arte moderna
Università degli studi di Napoli 'Federico II'
Dipartimento di Studi umanistici

11-02-2014 | 03:59