Sesso, droga e ossa rotte

Se è vero che ogni sostanza stupefacente ha una propria mitologia, botanica trasformazione che parte da ancestrali ritualità iniziatiche per degenerare nel vizio collettivo in epoca di decadenza, altrettanto è vero che si potrebbe tracciare una mappa di segni rivelatori, in grado di collegare le Arti proprio partendo dal lievito alterante, in uso nel determinato periodo storico. Ecco quindi manifestarsi immediate associazioni mentali, ramificazioni utili a mettere in comunicazione luoghi, mode, musiche, pensieri, personaggi più o meno maudit, con determinate sostanze, peraltro sempre “severamente proibite”. Da chi? Dalla morale, dalle leggi, dallo Stato ovviamente. Fossimo agli inizi del ‘900, verrebbe spontaneo declamare “lo Stato siete voi”, fregandosene spavaldamente, emulando così l’individualismo radicale di Max Stirner; ma ahinoi siamo negli anni della stolta libertà livellante e delle altrettanto ottuse norme proibizioniste. Che farsene delle ebbrezze illuminanti, senz’occhi per firmamenti o abissi, se non per fare uno spesone collettivo al supermercato dei vizi? baloccamento ottundente per storditi, stanche emulazioni, passatempi autolesionisti contro la noia. Poi, sempre tardi e spesso in vano, finanziamenti ai centri di recupero sulle tossicodipendenze, prevenire è meglio che curare, pubblicità progresso eccetera. Ma così la poesia visionaria scompare, in cecità e sanità. Mai in santità.

Nel variegato prontuario delle droghe, sorta di scrigno maledetto senza fondo e al contempo albero ricco di meravigliosi frutti proibiti, l’LSD rappresenta solo apparentemente un caso a parte; una vecchia novità, ciò per la relativamente recente scoperta, quindi per la diffusione incontrollata sotto colorate vesti pop, ovvero l’armamentario utopico delle cosiddette controculture giovanili: ora null’altro che pose nostalgiche e racconti di zii immaginari, capelloni bagnanti nel fiume Gange. Stereotipi, impossibili da replicare nel contesto odierno. D’altro canto l’elenco speziale nella bottega dell’alchimista, potrebbe essere infinito. Trattarne qui comporterebbe un viaggio destinato a farsi romantico ricamo sui bei tempi andati. Evasione oppiacea in seppiato onirismo e paradisi artificiali, esclusivi fumoir per ribaltamenti di soli in lune, giochi pericolosi in specchi narcisi ai quali non è più concesso partecipare, se non eludendo la legalità o i confini nazionali. Esattamente l’approccio meno idoneo, quello estetizzante e maledetto, per circoscrivere la genesi e lo sviluppo dell’acido lisergico. Si può anzi affermare che la droga moderna per eccellenza, nel tempo della tecnica e in quello ancora più vicino a noi della trasformazione tecnologica in pura virtualità, sia proprio l’LSD. Ne sapeva qualcosa Steve Jobs, per citare uno dei più noti fruitori dello strabiliante composto. Quest’ultimo - arcano affare da demiurgo, chiuso in asettico laboratorio - travalicò disgraziatamente le bianche mura farmaceutiche, diventando carnevale psichedelico per un paio di generazioni e lasciando sul campo, come eredità, un immaginario fluttuante tuttora frequentatissimo. La realtà non esiste, il mondo è pura rappresentazione e la mente un labirinto proiettato nell’etereo circondario.

Erano appunto gli anni ’60/’70 del secolo scorso, quando il comunitarismo hippie, quello del peace & love e del flower power, incrociò l’LSD per uscirne, dopo euforico battesimo e improvvidi abusi, con le ossa rotte. Tant’è che per nemesi venne la nera veste dell’eroina, a mietere vittime poco dopo. L’iperrealismo alienato della metropoli, ebbe così la meglio sull’immaginario fiabesco dei figli dei fiori. Ma occorre fare un ulteriore passo indietro e tornare al 1938, al tempo della sintetizzazione della sostanza ricavata dalla segale cornuta. Poi al 1943, quando quell’esperimento ormai dimenticato fu ripreso casualmente e testato dal chimico svizzero Albert Hoffman, in prima persona, dischiudendone così il magico potere alterante insito. Musica, è la parola chiave per comprenderne l’effetto dilatatorio. Lo strabiliante aprirsi di un varco, riguardo a ciò che si pensa di essere o di fare al mondo. Risposte, che giungono prima della formulazione delle domande, sciogliendo l’esito in un caleidoscopio incantato. Note che si trasformano in immagini, immagini che deflagrano in colori, colori che suonano canzoni ignote. Dimenticate o futuribili? Girate al contrario, armonie mnemoniche occultate nell’inconscio come i messaggi subliminali al tempo dei vinili. Forse melodie da sempre presenti, in qualche recondita zona della mente; è questa l’esperienza atemporale di sapere ciò che si ignora di sapere. Proprio di quella porta segreta s’erano perse le chiavi e l’LSD divenne così un passepartout a disposizione di tutti. Anche riguardo ai recessi più oscuri dell’Io. Anche per chi nemmeno immaginava l’esistenza stessa, di quella porta. Da ciò l’ascendente sulla musica rock, che ai tempi prese il nome di psichedelica. Beatles, Pink Floyd, The Doors, per citare i nomi più noti, s’incaricarono della colonna sonora di un’epoca. Happening, concertoni, promiscuità e socialità viaggiante. Ma che “viaggio” si poteva mai fare, stretti come sardine in un prato, tra migliaia di convenuti? Qualcosa di simile a una catarsi di massa.

Eppure, v’è un doppio registro intellettuale per trattare dell’acido lisergico. Se da un lato vanno segnalati gli entusiasmi di Timothy Leary e Aldous Huxley, in tempi diversi e con intenti non sovrapponibili propensi alla comunione di quell’ostia pagana, indistintamente offerta a masse di futuri illuminati, dall’altro l’epistolario tra lo scrittore tedesco Ernst Jünger e l’artefice Albert Hoffman, racconta una storia assai diversa. Meno giovanilista, certo più attigua all’escursione tra boschi alpini o alle impervie terre di Corsica e Sardegna, piuttosto che alle soleggiate spianate della California dell’immaginario hippy. Sfogliando il carteggio tra i due, recentemente edito da Giometti & Antonello (Lsd. Carteggio 1947-1997), l’atmosfera si fa decisamente più iniziatica. Missive, quelle pubblicate, che narrano di un sodalizio aristocratico, erudito, molto tedesco e decisamente poco romantico. Scambio franco, cameratesco, nel quale emerge una disanima oggettiva degli effetti alteranti delle droghe, affiancata alla pratica antiborghese di saggiarne il pericolo senza infingimenti. Escursioni diverse, coraggiose, saggiamente controbilanciate dalla disciplina, dal rigore e da certa propensione ritualistica. Cinquant’anni di lettere, simbolicamente inaugurate dal giovane miele delle api, con stima reciproca, e terminate nell’ultra-centenaria senilità di entrambi, moderni argonauti, già vecchi nel regime ottuso della tecnica preponderante e annichilente.

Un viaggio esoterico insomma, organizzato per due persone ma talvolta aperto ai famigliari, tra l’opzione del calesse signorile e quella dell’astronave spaziale. Itinerario che lambisce i lidi inviolabili dei misteri eleusini per approdare infine all’era dei computer e del mondo nuovo digitale. Sempre su carta intestata però, con quei bei modi eleganti e saluti alle rispettive signore. Formalismi che celano messaggi in codice, un inviolabile patto tra pionieri. Parevano tanto lontani gli estremi in questione – scienza e stupor mundi -  invece sono così prossimi, tanto da banchettare in meravigliosa ebbrezza. Attorno muovono atri totalitarismi, mascherati da libertà, altre libertà, delle quali non si sa più bene che farsene. Sotto traccia il filo conduttore del pensiero-forte jungeriano, quello ben reso, ne Il trattato del ribelle, dell’anarca; quello dell’impervio pellegrinaggio nelle rotte del sé e di ciò che lo oltrepassa, senza per forza doversi inchinare a Dio. Quello della “via del bosco”, della scoperta di piccoli tesori calpestati dagli stolti e dai distratti, funghi erbe radici minerali insetti, l’atto dissenziente per eccellenza, il più coraggioso perché poggiante sulla rettitudine e sulla conoscenza. Ciò che sta in basso sta in alto, il piccolo racchiude l’immenso. Giunti dinnanzi a quell’ingresso emblematico, che è pure fuoriuscita formale dagli infingimenti mondani, l’unico pensiero va al passo che si sta per compiere. Di là potrà essere utile l’LSD, come un calice di vino, o forse basterà il silenzio, per comprendere almeno una briciola di senso, del nostro stare al mondo. 

 

 

14-03-2018 | 18:37