Sogno o son desto? Si domandò il filosofo.

Narra Plutarco che Calpurnia, la moglie di Giulio Cesare, sognò di avere tra le braccia il marito assassinato. Il sogno subito sembrò turbare Cesare, che pure non era uomo impressionabile, al punto che in un primo momento egli decise di non andare in Senato. Decimo Bruto Albino allora lo provocò dicendogli all’incirca: «Cesare, che fai? Mentre tutti ti aspettano, tu rimandi in attesa che Calpurnia abbia sogni più gioiosi?». Erano le Idi di marzo e Cesare, da condottiero senza paura, alla fine non diede ascolto alla moglie. Come – ahilui – andarono le cose è noto a tutti.

Questo aneddoto spiega bene come gli antichi attribuissero un valore di premonizione ai sogni. E ciò è vero in tutte le culture.

Nella Bibbia, ecco i sogni del Faraone. Il primo: si trovava sulle rive del Nilo da cui uscivano sette vacche magre che divoravano sette vacche grasse intente a pascolare. Il secondo: sette meravigliose spighe germogliavano da un unico stelo. In seguito nacquero a fatica altre sette spighe, di aspetto opposto alle prime, che divorarono quelle piene. Giuseppe interpretò entrambi i sogni: le sette vacche grasse e le sette spighe piene erano sette anni di abbondanza, mentre le sette vacche magre e le sette spighe vuote erano sette anni di carestia. Il Faraone mise da parte una scorta di grano per la carestia, che puntualmente si avverò, e salvò così il suo popolo dalla fame.

Gli stessi Re Magi vennero avvertiti in sogno di non passare da Erode a rivelare il luogo della nascita di Gesù.

Il re di Babilonia Nabucodonosor sognò un albero pieno di frutti che si protendeva fino al cielo e si espandeva su tutta la terra. Una divinità ordinò di abbattere l’albero, facendo spargere ovunque frutti e rami tagliati. Il ceppo invece fu legato con ferro e ottone. L’essere divino sostituì anche il cuore del re con un cuore di una belva.  Il sogno di Nabucodonosor prefigurava la fine del suo regno e la sua follia.

Persino la prima parte del Corano è dettata in sogno dall’Arcangelo Gabriele al profeta Maometto.

Precorrendo Freud (nella foto sopra), dunque, i nostri antenati – da Occidente a Oriente - si erano interrogati circa il rapporto con la realtà della dimensione onirica. E – al di là delle suggestioni premonitrici, di cui la storia appare costellata (forse per indicarne la tessitura divina?) – ne avevano intuito alcune caratteristiche, come  l’egocentrismo e la soggettività. Soprattutto i Greci. Il filosofo Eraclito (VI-V secolo a.C.) aveva notato che se tutti gli uomini condividono un unico universo, ognuno nel sonno ne sperimenta invece uno proprio. Ma, a ritroso nel tempo, il primo tentativo di definire il sogno è stata addirittura del padre della letteratura occidentale: Omero.

Nell’Odissea Penelope spiega che due sono le porte dei sogni: una di corno e una d’avorio. Quelli che escono attraverso quest’ultima porta illudono, in quanto portano messaggi fallaci; quelli che arrivano a noi tramite la porta di corno, invece, si realizzano. E proprio su questo punto, sull’essenza dell’attività onirica e sulla possibilità che essa possa spiegare, almeno simbolicamente, la realtà, si sono esercitate generazioni di indovini, di pseudo-scienziati e ora, con rigore scientifico spesso contestato, di psicanalisti e di altri specialisti del sonno. Senza contare che spesso sogno e realtà hanno confini assai sfumati. Raccontava un antico filosofo taoista Tchouang-Tseu (IV secolo a.C.) una storiella curiosa: un giorno sognò di essere una farfalla. Ma una volta destatosi, rimase perplesso e si chiese: era lui ad avere sognato una farfalla o era la farfalla che in quel momento stava sognando Tchouang-Tseu? Insomma, per riprendere un tormentone contemporaneo, la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere?

 

 

25-06-2015 | 00:11