Cappuccetto Rosso deve morire /15
Mentre aveva gli occhi socchiusi udì uno smuoversi sabbioso. Si voltò. Era Labile. Si salutarono. Labile gli propose di far colazione insieme e il Commissario accettò. Andarono a prendersi una crema di caffè e un cornetto vuoto. Iniziarono a parlare.
«Mi spieghi meglio le tattiche di Lagri... insomma, oltre al sorriso...» memore di quanto gli aveva detto il giorno prima Alberto Russo sui metodi poco ortodossi di Lagri per concludere gli affari.
«Beh... oltre al sorriso... dipende dalle occasioni, da cosa doveva fare... ovviamente le parlo da esterno, non avevo molte occasioni di vederlo sul lavoro. E comunque dipende... Nei giochi di potere entrano in ballo molti elementi. Un conto è se vuoi vendere qualcosa a qualcuno, un conto è se devi sopravvivere in azienda. In questo caso, spesso si tratta di fottere qualcuno e i modi per farlo sono tanti. Gioca a favore troppo spesso la benevolenza del capo. Per quanto importanti, la competenza o la velocità d’apprendimento non bastano: serve che il capo, quando fa il gioco della torre, voglia salvare te e non qualcun altro dei contendenti. Quindi una delle sue tattiche era sicuramente blandire i capi, anche con mezzi non proprio limpidi».
Labile stava evitando di rispondere, il Commissario ne ebbe la netta impressione.
«E il ricatto?» domandò per ritornare al tema principale.
Prima di rispondere Labile sorrise: «Beh, Commissario, il ricatto è un gioco delicato. Innanzitutto bisogna avere a che fare con persone che ci stanno a farsi ricattare, altrimenti diventa una guerra senza esclusione di colpi, e se il proprio avversario è più forte, può finire malissimo. Ma io lo escluderei».
«Perché?».
«Lagri non era tipo da ricatto, a mio avviso. Certo, magari alludeva, lasciava intendere, seduceva e convinceva, magari anche con argomenti non proprio professionali, ma all’ultimo non credo che fosse un ricattatore».
Finirono la colazione. Parlarono ancora. Presero a camminare. Il Commissario rimaneva in silenzio, anche se tentava di quando in quando una normale conversazione: il punto è che l’omicidio (o suicidio, fino a prova contraria) occupava completamente la sua testa.
«So bene quanto possa essere complicato parlare di un omicidio così singolare» disse Labile comprensivo «ma forse parlarne la potrebbe aiutare a fare chiarezza».
Il Commissario sorrise per la curiosità di Labile e, se fosse stato fra gli assenti dell’anfiteatro, l’avrebbe immediatamente presa per un indizio. Invece, quasi sicuramente, si trattava della semplice curiosità di un manager iperattivo che si ritrovava da due giorni a corto di stimoli.
«Ha mai sentito parlare di “sociologia della vittima”?».
«No».
«Beh, mi aspetto di trovare una soluzione non appena capirò meglio in che tipo di ambiente viveva il defunto ed è maturato l’omicidio, ammesso che lo sia. Oltre, naturalmente, a raccogliere quante più notizie possibile su Lagri per capire meglio lui».
«Suicidio, fino a prova contraria».
«Suicidiofinoaprovacontraria» ripeté il Commissario appena appena seccato.
Labile, a quel punto, disse qualcosa che colpì molto il Commissario: «Le consiglio» disse «di dare una grande importanza all’ambizione. Spesso è proprio l’ambizione il motore di tante manovre, perfino manovre strane o assurde».
«Che intende?».
«Quello che ho detto: è sempre colpa dell’ambizione».
Tornarono indietro, facendo piccole pause nel percorso per godere meglio della natura.
Il Commissario guardava il mare, colorato e soffice come una cronaca di provincia, e si diceva che stava perdendo del tempo prezioso. Ma, visto che era un uomo infinitamente indulgente con se stesso, riusciva a perdonarsi tutto. Si disse che non stava perdendo tempo e che il concetto stesso di “perdita di tempo” andava rivisto e tutte le sue sfumature riconsiderate. Per le persone come lui la perdita di tempo non era solo mera pigrizia. Certo, era una persona patologicamente pigra e ormai quasi priva d’ambizione, ma quando perdeva tempo non era mai pigro bensì, al limite, ozioso. Soffermarsi su una parola, indugiare in un pensiero, soppesare un panorama, ponderare un anello o la piega impercettibile di uno sguardo: non era una perdita di tempo, ma una digestione, lo sforzo di comprendere e acquisire quanto più possibile uno stimolo, un’informazione, un’intuizione a cui dare corpo. Ecco perché detestava tanto la fretta e lo spirito di rivalità di quella gente: se un motore viene lanciato al doppio o al triplo dei suoi giri durante una gara, alla lunga è destinato a fondere e a sbandare, travolgendo tutto ciò che ha intorno. E al Commissario non piaceva per nulla quella prospettiva.
Come una ultima eco, quasi il canto di una sirena trasportato da un refolo laccato di salsedine, il Commissario si ricordò di un ultimo autore, Matza, che diceva che un reo può rimuovere la propria colpa in due modi: negando la propria responsabilità o negando la vittima. Se considerava anche queste ultime due negazioni, in automatico, l’ipotetico assassino poteva essere anche uno che si credeva perfettamente innocente. E che, per questo, non avrebbe mai lasciato trasparire i segni di una colpevolezza che non sentiva.