Il benevolo decimatore di cose altrui
Chiunque si sia iniziato all’arte della conversazione da un certo numero di anni, prima o poi, inevitabilmente, si è posto la medesima domanda riguardo i propri interlocutori: “Ma che vuole costui?”. La domanda è tutt’altro che peregrina: cosa vuole la persona che ci sta facendo usare tante parole? Qual è il suo scopo? Cosa vuole da noi? A chi sappia farne buon uso, la conversazione offrirà una serie di scolii anche nei casi in cui la classificazione dell’interlocutore sarà delle più viscose, come nel caso dell’amico scroccone. Questa, in effetti, è la più difficile e sottovalutata casistica che si possa avere per le mani in tempi di sciacallaggio. Purtroppo la sua classificazione si regge sull’illusione pecoreccia di rinvenire in lui una versione friendly dell’approfittatore: lo scroccone è qualcosa di più e di meno. Di meno perché arriva in casa e comincia col chiederti l’acqua, nel frattempo t’intrattiene in modo da arrivare a cena. E il conversatore, uomo di soave ospitalità, che fa?, non l’invita a restare?, ma certo che lo invita.
Ed è su questa magnanimità d’altri tempi che fa leva questo benevolo parassita decimatore di sigarette e caramelle non sue. Di più perché, a differenza dell’approfittatore, lo scroccone si mette sempre in gioco in prima persona: attinge alla sua creatività i modi con cui riesce a estorcere la gentilezza altrui, in qualche modo si potrebbe dire perfino che sia uno stimolatore di gentilezza e offre sempre due soldi d’intrattieni alla sua vittima. Non è semplice inquadrare precisamente l’amico scroccone, poiché ha due possibili varianti: “il d’Annunzio” e “l’Antongini”. Un buon libro di testo per impratichirsi su questa tassonomia e identificare il tipo di scroccone fin dall’ottava con cui pronuncia “Passo a trovarti per due chiacchiere e un caffè” (per tacere dell’abbacchio) è Vita segreta di Gabriele d’Annunzio di Tom Antongini. In realtà lui si chiamava Tommaso, ma Tom è un’abbreviazione introdotta dal Vate per appellare il suo segretario particolare, a cui – in anni precedenti – aveva causato un’emorragia finanziaria: l’Antongini aveva aperto una casa editrice per pubblicarlo, il d’Annunzio l’illuse, l’Antongini dilapidò, il d’Annunzio si dileguò. Non pago d’averlo svenato, gli fece svolgere mansioni di vivandiere e factotum per quasi una trentina d’anni pagandogli lo stipendio a fasi alterne. Nota di sollazzo: raccomandiamo a pagina centocinquantasei (dell’edizione Mondadori del 1938, quando c’era il palmizio fra la A e la M) il racconto di come d’Annunzio scopre il funzionamento del “conto corrente” per bocca di Antongini, non senza un pelo di costernazione.
Detto così sembrerebbe che il d’Annunzio è l’unico tipo di amico scroccone, ma qui comincia il proverbiale risvolto che rende Vita segreta sussidiario per conversatori di sicura tempra. Invitiamo il lettore a cercare numi sulla vita di Antongini per vedere quanto, dall’imbalsamazione del Vate a Vate Nazionale, riuscì a lucrare sul nome d’Annunzio. Giusto un dato: di biografie “segrete” o “piccanti” l’Antongini ne scrisse quattro, e tutte e quattro sul suo amico Gabbri, riciclando sempre lo stesso materiale, ossia le note dei propri carnet intimi. Non solo: tramite d’Annunzio e il suo legame con Mussolini ottenne benefici economici e lavorativi che da solo difficilmente avrebbe avuto. Sorge quindi la domanda: chi sfruttò chi? Questa non è una domanda da poco, perché l’amico scroccone – a modo suo e sempre dopo aver lungamente succhiato alla lauta mammella del conversatore – sa essere anche generoso. Questa generosità crea una zona grigia in cui lo scroccone diventa, in cambio di qualche nocciolina, la scimmiette con cui il conversatore passa il tempo. “Beh? Come va? Beviamo qualcosa?” è sicuro segno che il conversatore dovrà offrire, ma sa che verrà intrattenuto dall’amico scroccone.
Anche per questo conviene espertizzarsi all’alta scuola di Vita segreta. Tuttavia, per chi non volesse subito misurarsi col manuale maxìmo, esiste una tavola sinottica per iniziarsi: Poeta al comando di Alessandro Barbero, in cui la voce narrante è di Tom e il protagonista è Gabbri agli sgoccioli di Fiume. Qui il gioco del chi-scrocca-cosa-a-chi è reso con esemplare chiarezza, al punto da diventare conturbante nella sua fluidità, ma dà sicure istruzioni su come scacciarli. Lo scroccone all’Antongini sarà semplice da scacciare: basterà ricordargli che Fiume è persa e che non è il momento di indugiare in aperitivi e pastasciutta. Se, invece, a dover essere arginate fossero le smanie di un Vate dello scrocco, la risposta non potrà che essere in francese medievale: A moy que chault, “Me ne frego”.