Nel nome di Angel
“Qui si toccano due mondi: l’Occidente, dove la verità è adeguamento della cosa all’intelletto; e l’Oriente, dove la verità è ciò che sembra che la cosa sia”. Paolo Rumiz, Oriente.
Ci sono tante ragioni per un viaggio in Slovenia: il paesaggio, l’arte, la storia. E poi c’è il vino. Un vino diverso, altro da sé, personale e arcaicizzato. Oggi si chiama vino naturale, biologico, biodinamico, oppure orange wine. Nomi, solamente nomi. Il dentro delle cose è più importante e ha radici profonde. Dopo la seconda guerra mondiale la Slovenia viene annessa alla Jugoslavia: il Sistema stabilisce l'espropriazione quasi completa della proprietà privata; viene lasciato ai contadini solo lo stretto necessario per il proprio sostentamento. Solo alcuni pionieri continuano a fare vino di qualità ma, appunto, è a solo uso della famiglia. Il resto delle uve prodotte deve essere conferito alle grandi cooperative istituite dal Sistema. In conseguenza di ciò, si assiste a un progressivo abbandono della campagna; molti contadini si trasferiscono nelle città; la tradizione del fare vino rimane di pertinenza di qualche piccolo, testardo viticoltore. Le vicende storico-politiche degli anni 90 sono note: il 26 dicembre 1990 c'è il plebiscito nazionale e il 25 giugno 1991 la conferma della legge costituzionale (con la dichiarazione dell'indipendenza), l'inizio della guerra per l'indipendenza che durerà dieci giorni: la Teritorialna obramba (difesa territoriale) sconfigge la JLA (armata popolare della Jugoslavia), per fortuna con un numero di vittime limitatissimo. Di cinquant’anni così, rimangono, ora, le immagini. Le lunghe distese di viti non nascondono città, paesi e villaggi: Bukovica, Dornberk, Slap, Podgrada, Sezana, per dirne alcuni. Luoghi, retrovie del Sistema, villaggi spersonalizzati dagli abusi della dittatura titina. Il cemento, ovunque e a tutti i costi, così come il ferro. L’assoluta mancanza di identità, di estetica, il paesaggio deturpato. Eppure alcuni produttori hanno resistito. Valter, lo sloveno è alto quasi due metri. Sembra un ufficiale austro-ungarico. Mlecnik si chiama, Valter Mlecnik, e così si chiamano i suoi vini. La famiglia Mlecnik produce vini da molte generazioni. L’attuale proprietà di Bukovica, casa colonica e vigne, furono acquistate da Angel, nonno di Valter, nel 1922. È stato proprio Angel a tracciare per primo una strada importante: avere cura delle proprie vigne per fare un buon vino. Molti anni dopo, nel 1981, Valter decide di seguire questi insegnamenti e di farne un sistema omogeneo di lavoro e di vita. Praticare un’agricoltura pulita, senza l’uso di pesticidi e chimica di sintesi, non utilizzare aiuti industriali e tecnologici, per Valter sono prima di tutto scelte interiori. Bisogna pensare alla vigna, alla natura che manifesta le sue forme, all’uva: per fare grandi vini si deve proteggere la terra e custodirla. Le varietà coltivate sono lo Chardonnay, la Rebula, il Furlanski Tokaj (qui chiamato Sauvignonasse) e il Merlot. Il vigneto più vecchio è quello di Tokaj che risale al 1947, dal quale sono stati prodotti i ceppi per il nuovo vigneto innestato nel 1999. Le vigne sono coltivate con il sistema a Guyot per Tokaj e Merlot e ad alberello per Chardonnay e Rebula. La terra tra i filari non viene zappata e il vigneto è inerbito. Le rese dell’uva sono basse, proprio per non forzare la vite, non stressarla, ottenendo così la massima resistenza naturale. La produzione media dell’azienda agricola è di circa dodicimila bottiglie l’anno. Grandissimo il suo Chardonnay, ma più ancora il Furlanski Tokaj: vino di anima e di corpo che nasce da una macerazione di circa tre giorni sulle bucce, con l’uva diraspata, senza controllo di temperatura in tini aperti. Il vino affina in botti tradizionali di rovere, dove rimane per circa due anni per poi essere imbottigliato e messo in vendita dopo altri due di riposo in bottiglia.
Furlanski Tokaj, Angel Hereditas 2007. Non un vino, qualcosa di più profondo, intimo e suggestivo. Infuso di uva, denso e avvolgente, di profumo spiccato e semplice: fiori bianchi e gialli, bacche, rovi, erba e poi essenze lontane non spiegabili con le parole.
Sauvignonasse 2009. Colore giallo oro-ambrato con richiami olfattivi scheggiati e intensi che da nuances vegetali di fieno essiccato al sole e camomilla muovono lentamente verso la frutta gialla matura, albicocca, pesca e mango. Un ricordo di Natura, il richiamo alla spiritualità, il senso della nascita.
Chardonnay 2008.Avvolgente oro antico e ottone. Persistenza aromatica, profondità, calore. Come un abbraccio, come un liquido antico e corroborante.
(Foto di Francesco Orini)