Provaci ancora Henry
"Ho provato a cambiare qualcosa. Ci ho provato. Onestamente. Questa è la fregatura. È che tutti noi abbiamo troppe storie di cui occuparci e questo ci distrae dall'obiettivo. Così ci lasciamo vivere. Certi giorni va meglio, altri va peggio e così, lo spazio per noi e per gli altri, si riduce."
Henry Barthes (e già il cognome del protagonista, interpretato da un vibrante Adrien Brody, suona come una promessa) è un insegnante supplente in una delle tante, troppe, scuole della periferia americana, dove il degrado non diventa distruzione solo perché la società dei consumi, seppure miserabilmente, tiene a galla i quasi sommersi. “È l'olocausto del marketing, ogni minuto della nostra vita, 24 ore su 24, le entità del potere lavorano sodo per annientarci il cervello. E allora, per difendere la nostra identità e preservare i nostri processi mentali dall'assimilazione passiva di un mare di merdose idiozie la sola cosa è leggere, per stimolare l'immaginazione e la libertà di pensiero, e coltivare la nostra coscienza secondo il nostro sistema di credenze. Fidatevi, l'unico modo per sopravvivere è poter preservare la nostra mente!".
Henry ci prova, ci prova veramente. Ma la paura di fallire a volte ha il sopravvento e colora la realtà con tinte che crediamo di scegliere, mentre è il caos che sceglie per noi. Cita Albert Camus all’inizio della storia e non potrebbe essere più chiaro : “Non mi sono mai sentito cosi profondamente distaccato da me e così presente nel mondo nello stesso momento.”
Prigioniero del terribile ricordo del suicidio della madre, quando non è a scuola Henry si prende cura del nonno, precipitato in un’allucinata demenza dopo il tragico evento. “Detachment” è un film duro, che ricorda i toni dell’opera precedente del regista Tony Kaye “American History X”, intimista ma nello stesso tempo di grande impatto sociale.
I ritratti del corpo docente, provato e disperato quanto se non più degli alunni, sono struggenti. L’incomunicabilità finale fra naufraghi è un paradosso doloroso ma allo stesso tempo matematico: la disperazione allontana, stringe in una morsa centripeta che fa un buco nero, dal quale pochi riescono a risalire.
Il protagonista cerca di supportare i giovani problematici con trasporto, soprattutto una giovane prostituta che diventa in qualche modo proiezione della madre, ma in realtà resta distaccato, la paura del risucchio è troppo grande. Scampato alla valanga del suicidio materno consumatosi sotto i suoi occhi, ricerca una catarsi di un assurdo eppure comprensibilissimo senso di colpa attraverso la cura degli “sconosciuti”, dai quali, al momento opportuno, potrà prendere le distanze.
Ma non è freddezza la sua, è necessità di mantenersi lucido nella vita reale, mentre dentro il caos fa i salti mortali. "Tutti noi siamo barca alla deriva in mare aperto, quando credevamo di essere noi quelli che l'avevano lanciata", dice Henry mentre lotta per mantenere senno e propositi dritti.
Il film, oltre ad un’ottima e ricca sceneggiatura, offre una serie di scene poetiche e struggenti, come quella del giorno di ricevimento dei genitori, in aule desolatamente vuote, con i professori e il personale scolastico a fare i conti col fallimento proprio e altrui mentre la vita fuori dalla scuola non smette di correre e con lei le occasioni perdute o mai nemmeno immaginate.
Quando una studentessa talentuosa ma (o sarebbe meglio dire, e quindi) in grave crisi esistenziale, sentitasi “rifiutata” anche da Henry, si toglie la vita nel cortile della scuola, tutto sembra precipitare, nella mente e nello spirito del protagonista e forse anche nella coscienza dello spettatore. Ma proprio quando il cerchio sembra seguire ineluttabile il suo giro, ecco uno spiraglio di luce: Henry affronta la sua necessità di schermarsi per non impazzire e va a trovare la ragazza salvata dalla strada e poi indirizzata verso un istituto di recupero.
Ce l’ha fatta, ce la faranno, aggrappati all’unica cosa che salva dal caos e ce ci rende davvero liberi, nonostante “la nausea del cuore” ricordata nell’ultima scena, mentre Henry legge un brano di Poe (da “La casa degli Usher”) dinanzi ai suoi sogni infranti eppure, ancora, incredibilmente, miracolosamente, da ricostruire.
Detachment - Il distacco, Tony Kaye, Usa 2011