American Sniper e le sinfonie della morte

Il primo film importante dell’anno solare appena iniziato è American Sniper di Clint Eastwood. Da più di venti anni, dai tempi della sua riflessione western Gli Spietati, la critica regolarmente ha utilizzato il termine “testamento” e “capolavoro” per ogni pellicola diretta o interpretata dal vecchio Clint in questi due decenni. L’arzillo ottantenne, che non ha ancora voglia di tirare le somme una volta per tutte, ci regala stavolta un’opera magistrale che sintetizza molte linee guida della sua visione del mondo, dell’America, del cinema e della storia.

Come il suo cinema, il protagonista della pellicola – state tranquilli questa pagina non vi rovinerà la visione del film – è una sintesi sublime di antico e di moderno. Nella guerra di nuova generazione, condotta ormai da un serrato corredo tecnologico, il tiratore scelto Chris Kyle, ragazzone texano cresciuto a caccia e rodeo, rappresenta quell’elemento umano ancora oggi necessario a condurre sul campo le operazioni belliche. Come un eroe omerico, dotato dagli Dei di una sorta di infallibilità nel tiro, si trova a maturare la propria sensibilità di fronte agli episodi della guerra che lo pongono costantemente ad operare delle scelte di fronte alla storia universale e alla sua vicenda umana personale. I dieci anni della sua guerra di Troia non sono un unico girone infernale: le sue sempre più ciniche operazioni di guerra sono diluite in quattro diverse missioni nella vecchia Babilonia, intervallate da sempre più difficili ritorni a casa in cui il ragazzone maturerà sempre di più come uomo di fronte alla famiglia e alla società.

Quattro sono le missioni di Chris Kyle sul campo di battaglia in Iraq, non a caso scandite nel racconto come i tempi di una sinfonia. Una partitura in cui da orchestrale di fila il nostro eroe emerge sempre di più come primo violino, lo strumentista principe che grazie alle sue sublimi doti negli assoli si impone come il riferimento per tutta l’orchestra nel corso dell’esecuzione. 

Il personaggio realmente esistito di Chrys Kyle rappresenta la rilettura contemporanea di almeno due figure centrali dell’immaginario western.

Il primo riferimento, più sottile, è lo sceriffo Wyatt Earp, protagonista di molte trasposizioni della mitica sfida dell’Ok Corral, che molti ricorderanno nella sua caratterizzazione più celebre interpretato da Henry Fonda in Sfida Infernaledi John Ford. Lo ritroviamo nella sua sensibilità verso i deboli e nei rapporti sociali contrastati dal suo dover essere personaggio pubblico.

Il riferimento classico principale, amplificato anche dallo scenario texano della vicenda, lo ritroviamo invece nel mito di David Crockett, il miglior tiratore del West immolatosi ad Alamo come Leonida alle Termopili durante l’assedio messicano di S. Antonio. Il David Crockett più celebre dello schermo non a caso è stato interpretato da John Wayne in un western crepuscolare, che vedeva lo stesso attore anche nella veste di regista: La battaglia di Alamodel 1960. 

Come John Wayne nel ruolo di Crockett, anche Bradley Cooper nel ruolo di Kyle incarna una tipologia di eroe che, riconoscendo le proprie straordinarie capacità balistiche, non può non mettersi a servizio del suo paese e dei suoi valori. Solo così quelle doti lo portano ad essere considerato una sorta di semidio. Personaggi entrambi caratterizzati sullo schermo non solo attraverso le proprie virtù, ma anche tipizzati nelle complesse sfaccettature di una personalità divisa e martoriata. Non a caso quando Cooper si rivolge alla moglie, una Sienna Miller intensa e fugace nella sua femminilità, potrebbe benissimo citare il celebre monologo con cui si presenta il personaggio di Crockett all’avamposto di Alamo nel film di Wayne. 

Una riflessione sulla Repubblica che, partendo dalla grandezza di Roma, sembra quasi accompagnare le riflessioni di Catone, di Tito Livio, di Machiavelli e Mazzini alla più pura ideologia del partito di Lincoln, di John Wayne e di Clint Eastwood. Un senso civile che quindi trascende American Sniper e che stavolta ci accompagna in vero dalla prima sequenza all’ultimo fotogramma.

Andando al cinema non dobbiamo però sottovalutare neppure la famosa frase di George Santayana che molti attribuiscono erroneamente a Platone. Soltanto i morti hanno visto la fine della guerra. 

 

 

09-01-2015 | 11:32