A cosa serve la scuola?
La filosofia? “Non serve a nulla perché non è serva di nessuno" (parola di Aristotele, o almeno così vuole la tradizione). La letteratura? Perfettamente inutile; al massimo, come sosteneva il Nobel Josif Brodskij, poeta esule russo, serve a salvare il ”volto non comune” di ciascuno. E la matematica? Beh, nessuno avrà dubbi sulla sua utilità. E invece no: “La matematica non serve a nulla” è il (provocatorio, certo) titolo di un saggio di Giorgio Bolondi e Bruno D’Amore, due brillanti matematici dell’Università di Bologna (leggendolo, però, si scopre molto altro). Quanto alla storia, il medievalista Francesco Senatore così ha risposto a studenti e docenti specializzandi: <Non serve la storia-disciplina scolastica per diventare un buon meccanico o un buon ragioniere o un buon medico, come argomentano gli stessi alunni>.
Condivisibile, persino ovvio, verrebbe da dire. E invece non è così. Dai genitori che vogliono un diploma più spendibile (sì, ci sono ancora e si chiedono angosciati, nonostante il 40 per cento di disoccupazione giovanile: “E se poi non ha più voglia studiare, che cosa farà dopo un liceo?”) ai politici e ai burocrati ministeriali che puntano tutto sullo stretto (sempre più stretto) legame tra scuola e lavoro. Anche la “Buona scuola” targata Renzi si adegua a questo modo di pensare: “L’alternanza scuola-lavoro sarà garantita a tutti nell’ultimo triennio delle scuole superiori, licei compresi”. Senza contare studi e statistiche che invitano i genitori a scegliere la scuola più utile, quella che garantirà maggiori sbocchi o un reddito più alto.
Il sillogismo che ne uscirebbe sarebbe dunque: la scuola che s’incardina sulle discipline menzionate sopra (ma se ne potrebbero aggiungere molte altre e il ragionamento di fondo non muterebbe) non serve proprio a nulla. E andrebbe riformata. Troppo lontana dalla realtà. Più economia e meno latino. Più materie professionalizzanti e meno filosofia.
Ma qui sta l’equivoco: la scuola non deve proprio servire a nulla di utile, di monetizzabile, di immediatamente spendibile. Deve insegnare la gratuità del bello; la differenza tra il valore e il prezzo, perché è proprio ciò che ha più valore a non poter essere comprato. Deve formare l’uomo, non il lavoratore. Corollario: serve a preparare alla vita, non a una professione. Perché, come spiega lo psicanalista Massimo Recalcati, la scuola è il luogo che ti conduce altrove, “di fronte al nuovo, all'inaudito, all'imprevisto”. L'urto inevitabile che ti costringe a pensare e ti apre nuovi mondi.Scrive ai docenti Beppe Severgnini in “Email a una professoressa”: “Alle elementari e alle medie — inferiori e superiori — bisogna scavare dentro i ragazzi e scovare le loro inclinazioni, correggendo le loro debolezze. Voi siete minatori di talento e spacciatori d’entusiasmo”.
Diciamola così: la scuola deve far intuire il bello che c’è fuori (nel mondo) oltre che dentro l’uomo, compreso ogni studente, ogni uomo in formazione. Deve far innamorare della vita. Deve trasformare il bambino in ragazzo, il ragazzo in uomo. Consapevole, corretto, ma anche creativo. Perché “lo scopo della scuola è quello di trasformare gli specchi in finestre” (Sydney J. Harris).
Sarà compito di altri (dell’università, delle imprese) trasformare l’uomo in lavoratore. Il ragazzo deve solo preoccuparsi di leggere, scrivere, scoprire, analizzare, sintetizzare, comunicare. Osservare, ragionare. Inventare. Conoscere (anche il senso della fatica e del sacrificio). Esplorare. Perché, tanto per fare un esempio riguardo a una delle discipline citate sopra, la storia, se cerchiamo la memoria di ciò che è successo prima della nostra nascita, possiamo vivere mille vite e non solo la nostra (così ha spiegato Umberto Eco in una lettera aperta al nipote).
C’è un tempo per tutto, come dice la Bibbia. Il rischio è di protrarre l’infanzia in un eterno gioco o anticipare l’età adulta, schiava del mercato. Ma il tempo dell’adolescenza deve essere speso per studiare e prepararsi al futuro. Occorre allenarsi a fondo per giocare una buona partita: chi entra in campo senza fiato, trasformerà l’opportunità in un autogol.
Insomma, la scuola serve a fare (soprattutto, a farsi) buone domande. Le risposte giuste le potrà offrire soltanto la vita. Forse.