Provaci ancora, Tinto
Tinto Brass, regista veneziano di origini goriziane, classe 1933, è quella faccia un po’ così, divenuta maschera da satiro con sigaro, sagoma carontesca del passaggio all’età adulta dei bei tempi andati; è la nostalgia del buio in sala, tutto il rimpianto delle file di poltroncine in velluto rosso, sovente imbrattate, dell’anonimato di baveri alzati, nuvole di fumo e trafelati piaceri solitari. La galleria d’arte contemporanea Ono di Bologna ne celebra ora l’immaginario erotico, mettendo in mostra gli scatti di Gianfranco Salis, catturati dai set di film entrati prepotentemente nell’immaginario collettivo italiano. L’idea di porre in risalto l’apparato iconografico, trasposizione fortemente estetizzante nella staticità fotografica, risulta particolarmente efficace, proprio per la progressiva emancipazione dalla trama delle pellicole brassiane.
Cosa accadde? Dopo gli esordi nell’altolocato club dei cineasti à la page (Cavalcanti, Rossellini, Ivens), con originale tratto stralunato, Brass deviò coraggiosamente verso una forma d’espressione di genere. Il suo genere, per l’esattezza. Dunque non le commedie scollacciate con Pierino ed Edwige Fenech, nemmeno la pornografia gommosa, meccanica e seriale; qualcosa di diverso e ben più malizioso, l’ossessione cerebrale per il corpo femminile, restituita come grande atto liberatorio reciproco: alla donna la vanità, all’uomo il desiderio. Non a caso vicino alle posizioni del Partito Radicale, Brass diede scandalo già a partire dal seminale Salon Kitty. Cast importante, con Helmut Berger e Ingrid Thulin, coreografie superbe, ambientazione nella Germania nazista e torbido canovaccio narrativo, il film può essere accostato ad altri capolavori ai limiti del grottesco – qui nell’eccedenza dell’elemento tragico - come Il portiere di notte (Liliana Cavani), Salò o le 120 giornate di Sodoma (P.P. Pasolini) e La caduta degli dei (Luchino Visconti).
La popolarità del regista crebbe notevolmente con il classico La chiave, tratto da un romanzo del giapponese Jun'ichirō Tanizaki e indissolubilmente legato alla burrosa perfezione di Stefania Sandrelli. Il successo divenne col tempo formula ripetitiva, ma ebbe comunque il gran merito di consegnare al mondo dello spettacolo Serena Grandi, Francesca Dellera, Debora Caprioglio, Claudia Koll, tra le altre. Tutte bellezze carnose, lattee, senza tatuaggi o piercing, disegnate con malizia mista ad ingenuità, lascive, talvolta caricaturali nell’accezione felliniana. La carne stretta dalla giarrettiera, a stento trattenuta dal reggipetto, nell’istante prima di palesarsi come nudità: quello è l’erotismo. Ciò sta al porno come un vetro soffiato al bicchiere di plastica. La femmina come quadro, si direbbe, da Coubert (L'origine du monde) a Casorati (Conversazione platonica), per l’appunto a giustificazione dell’inutilità di ingegnarsi oltremodo con la sceneggiatura. D’altronde, perché sprecare materia grigia al cinematografo, quando esistono i libri di filosofia? Lo schermo si guarda, oppure si spia. Nell’Italia bigotta e pretesca dell’epoca, sostanzialmente per nulla mutata dal chiasso del ’68 e poco da quello del ’77, al grigio e verboso operaismo tanto in voga Tinto Brass oppose il roseo del culo femminile. Genialata – i francesi direbbero argot, qui da noi volgarità - che tuttavia non passò sotto l’uscio, giacché, ancora prima dei baciapile furono le femministe a invocare censura. “La donna oggetto!”, blaterarono fuori di senno, come se la Venere allo specchio di Velázquez o il Violon d’Ingres di Man Ray non fossero più importanti di qualsiasi isterica rivendicazione di genere, a maggior ragione se contingente frutto di pecorile transumanza sociale. Tant’è che l’isterica foga nei cortei trovò nemesi nelle veline e nelle lolite di Non è la rai. E ben stette loro.
Tinto se la rideva e forse ancora adesso, sbuffando con quel rotacismo catarroso, s’accende un sigaro a ripensarci. Lo faceva apposta, era più forte di lui. Ogni volta un trambusto mediatico, ogni volta un doppio senso buttati lì artatamente per trattenere il pudore, funzionale allo scandalo. A ripensarci oggi davvero tutto così innocente. Romantico pure Brass, dacché la pornografia nichilista ha vinto sull’erotismo della camporella, da quando i pixel e le plastiche, le abbronzature coatte e le magrezze funebri hanno avuto la meglio sulla gioiosità del rotondo culo. Quello sì, il luogo esatto dove la mano maschile vorrebbe posarsi con estrema naturalezza. Quella, la geografia morbida, il dipinto che si fa carne estroflessa, uno dei pochi buoni motivi per meritare un ceffone.