Apologia di Celentano

Il genio, a differenza del talento, non è mai dove te lo aspetti. È sempre altrove rispetto ai suoi contemporanei. Avanti, sopra, di lato, non importa: ma altrove. Il talento, invece, deve essere esattamente lì, dove lo aspetti: meglio degli altri, ma lì, dove sapevi che sarebbe stato. Lo diceva anche Carmelo Bene: “Il talento fa quello che vuole, il genio fa quello che può. Del genio ho sempre avuto la mancanza di talento”. Esempio chiarificatore: Celentano è un genio, Fiorello è un talento. Dal primo non sai mai cosa aspettarti, se confermerà o meno le tue certezze, se ti piacerà o no ciò che dirà; del secondo sai tutto, che sarà bravo, bravissimo, e che le sue parole saranno quelle giuste, le migliori, le più divertenti: ma sarà lì, non altrove. Il primo crea, inventa; il secondo esegue, molto bene. E se aveva ragione Gilles Deleuze che nell’arte l’invenzione è tutto, Adriano Celentano è arte, il resto chiacchiericcio di fondo. Sì, perché l’opera d’arte – dalla migliore definizione possibile – serve a far vedere “ciò che gli occhi non vedono”. L’arte non ha mai avuto il compito ultimo di essere consolatoria, tranquillizzante, salottiera, bensì di essere un pugno nello stomaco, provocante, temibile: fuoco sotto la cenere. E spesso indecifrabile secondo i nostri canoni, perché è già davanti a noi. E se l’arte approda in televisione, il regno delle certezze, il rischio è doppio, anzi triplo.

D’altronde Celentano ci ha abituati da sempre a cose così: ambientalista prima degli ambientalisti, animalista prima degli animalisti, etico (ed eretico) prima degli etici (e degli eretici) da salottino. Uno capace di portare il silenzio in televisione – cosa inammissibile da manuale, ma non per lui – o di far cambiare canale durante un suo programma: ma chi lo ha mai fatto? chi? Ha sempre guardato molto lontano Adriano, “oltre il giardino”, rock prima del rock, e non sempre è stato capito. Ci mancherebbe altro, un genio che viene capito subito, ma quando? Ma a lui è capitato anche questo, doppio miracolo. Il povero Caravaggio, per fare un esempio iperbolico, ha impiegato tre secoli per diventare Caravaggio, prima veniva considerato quasi un madonnaro: nell’Ottocento gli veniva preferito Guido Reni – grande artista, ma imparagonabile – e se non fosse stato per Roberto Longhi chissà che non lo preferiremmo ancora. Tutto per dire ciò che dicevamo all’inizio, il genio fa cose stravaganti, spesso suo malgrado.

Portare un cartone animato in prima serata su Canale 5 è un po’ la stessa cosa, un rischio, un ribaltamento e un colpo di genio insieme.

Cambiare la prospettiva, irridere e irrompere, toglierci dal nostro divano di casa, andare oltre il pianerottolo e il nostro garage che tanto bene conosciamo: ecco Adriano Celentano.

Ed è per questo che le critiche ad Adrian, il catone animato del molleggiato – opera che Canale 5 ha messo in onda per alcune puntate e ora sospeso (per mancanza di share temiamo, anche se la versione ufficiale è per una non ben precisata convalescenza di Celentano) – sono state ingenerose e soprattutto pretestuose: qualcuno ha seguito davvero con attenzione le gesta dell’orologiaio? Qualcuno è entrato davvero in medias res? O si è parlato solo di costi e di share? Che poi essendo soldi privati al massimo potranno incazzarsi i committenti, ma mica i benpensanti. Qui sembrava quasi fossero soldi pubblici – vabbè. E poi nella tv di oggi toccare il 19% di share con il primo capitolo di un cartoon è tanta roba, anche se per una sola serata.

In Adrian c’è tutta una vita, quella del Celentano visionario, che mai sarà scindibile da quella dell’uomo: un racconto razionale (e irrazionale) delle cose, le sue cose: l’ambiente, il futuro, la morale pubblica e via cantando. Un racconto portatore integerrimo di quella che, Celentano stesso,  considera rettitudine etica prima che morale, quindi che viene da lontano e finisce in via Gluck. Perché il suo sguardo sulle cose è sempre e solo da artista, mai da parte in causa, ma neanche da troppo in alto, che poi si rischia di perdere il senso del tutto. Dunque mai come Fabrizio, che nella Certosa di Stendhal è quasi convinto di aver vinto a Waterloo, e mai come un Victor Hugo, che sembra sempre vedere le cose dall’altezza di Dio – se Napoleone avesse avuto il suo racconto di Waterloo non avrebbe certo perso la battaglia – ma sempre “alla Celentano”, sezionando la visione in modo non ortodosso, potremmo dire obliquo, come si taglia una fetta di salame.

Ora si dice che Adrian tornerà a settembre, intanto ci siamo goduti un assaggio, e c’è da giurarci che il geniaccio per quella data si inventerà qualcosa. Poco importa se, oggi, gli applausi sono meno dei fischi, la vita è una ruota. E poi avrà avuto ragione ancheMajakovskij, che rivendicava il diritto dei poeti di “stare saldi sullo scoglio della parola “noi” in un mare di fischi e indignazione”. Adrian, ségnati i nomi di chi oggi fischia, perché a settembre diventeranno applausi. Così, ancora una volta, potrai perdonarli.

 

 

01-03-2019 | 15:12