Cappuccetto Rosso deve morire /19
17.30
Mario Antico aveva un colorito che virava con impressionante precisione al marrone del cuoio conciato. Era anche lui un fumatore di toscani, ma a differenza del Commissario ne aveva assunto la fisionomia. Come un sigaro, per di più, era grinzoso. Labbra crudeli e farcite, palpebre spesse simili a ghiere di gomma, epidermide unta e densa come lardo di Colonnata. Troppo grasso per essere vizzo come si sarebbe convenuto a un uomo, come lui sembrava, arrivato alla sessantina. Forse, se asciugato, il suo volto avrebbe dettagliato con più espressione quello che gli passava per la testa, così com’era invece rimaneva solo un covo di minuscoli sobbalzi tremolanti che non dicevano mai chiaramente cosa pensava. “Sembra che si sia lasciato ingrassare per nascondersi meglio” pensò il Commissario, la cui memoria sovrappose al budinoso Antico il fascio di nervi di Alberto Russo, che ingenuamente aveva mantenuto un volto ben definito su cui si poteva leggere praticamente ogni cosa.
Mario Antico aprì la porta della sua villa e strinse gli occhi, come per mettere a fuoco il Commissario.
Quell’occhiata era somigliata a un lungo intervento: impossibile dire se ne fosse uscito più provato il paziente o il chirurgo. Se i lunghi interventi hanno un certo che di sciamanico, poiché come sciamani i medici si sobbarcano parte della sofferenza del malato ed escono indolenziti e doloranti dalla sala operatoria dopo aver provato a curarlo, anche quella occhiata aveva avuto qualcosa del genere.
Il Commissario vedeva in quell’uomo un groviglio di spionaggio aziendale, potere politico e accademico, tradimenti e manovre, ricerca e talento, esperienza e genio, corruzione e rigore, morte e denaro.
Quell’occhiata classificatoria, ferma e netta come una biopsia, l’aveva colpito. Antico doveva essere uno di quelli abituati a monetizzare tutto e, quando trasformava le persone in cose, faceva esattamente quello che faceva la morte: toglieva vitalità alla vita. In quel modo di guardare c’era il disagio di un equivoco, come quando si viene seppelliti vivi. A ogni modo, l’energia di quella persona, ingigantita da una brillante intelligenza, aizzata da un’ambizione titanica, l’aveva investito con la violenza di un treno a levitazione magnetica.
«Buongiorno dottor Antico, siamo...».
«Sì, lo so. Se volete...» si scostò e fece un gesto col braccio, a invito per entrare.
Il Commissario notò subito che l’arredamento di quella villa era più lussuoso degli altri, ma in maniera quasi invisibile: legno piuttosto che vimini, certe stoffe invece che altre, molta tecnologia, un affaccio meraviglioso sul mare, etc. Per uno strano sommovimento dei pensieri, il Commissario si accostò all’Ispettore e gli bisbigliò di verificare quei famosi percorsi fra l’appartamento di Marco Lagri e gli appartamenti degli altri “sospettati”. L’Ispettore, però, capì subito qualcosa che forse anche al Commissario non era chiaro: lui voleva rimanere da solo con Mario Antico. Annuì, si congedò e uscì.
Il dottore invitò il Commissario a sedersi fuori. La villa era ordinatissima. Il tavolo da pranzo si trovava su una sorta di soppalco, di rialzamento, antistante al divano l’entrata dell’appartamento e la finestra che poi dava sul grande balcone rivolto al mare. Tutto, in casa, era bianco, tranne il mazzo di fiori nel vaso sul tavolo.
Era tutto come nuovo, come se l’intera villa non fosse mai stata abitata. “Sembra che qui non ci abbia abitato nessuno” pensò il Commissario, subito perdendosi in una miriade di pensieri che durò pochi secondi. Mario Antico si sedette al tavolino esterno, dal lato dov’era un grande portacenere ingombro di cicche di sigaro e cenere. All’odore intenso di toscano che il Commissario conosceva fin troppo bene, se ne mischiava un altro che non gli era per nulla familiare. Mario Antico gli fece segno di sedere nella poltrona davanti alla sua. Sul tavolo c’era una scatola di legno molto grande. Antico la aprì, era per metà piena di toscano Riserva, fece segno al Commissario di servirsi. Presero un sigaro quasi contemporaneamente, lo sbucciarono e l’accesero. La bellezza di quel gesto stava tutta nella sottesa, sottilissima, pressoché impalpabile sfida di destrezza e velocità che s’era innescata fra i due uomini. Il meno impacciato e lento, il più elegante, poteva dire d’aver vinto il primo modesto scontro, anzi, la prima scommessa.
Era una piccola scommessa innocente fra uomini, infatti. Fra amici se ne fanno spesso, fra maschi continuamente e, in quest’ultimo caso specifico, sulle donne è praticamente la quotidianità. Probabilmente, avendo abbastanza tempo, il loro scontro si sarebbe potuto allargare fin lì, ma, in attesa del tempo, quella semplice prova di manualità era sufficiente. Perché alla fine di questo si trattava: una modesta sfida, dove uno dei due avrebbe piegato l’altro. Ed entrambi volevano vincere.
«Sente che silenzio, Commissario?».
«Stupendo».
«Sì. È il risultato della barriera degli alberi, della distanza dal bar e dalla piscina, dello spessore dei muri e dell’orientamento. Sa quanto costa questo silenzio?».
«Molto, immagino».
«Potremmo quantificarlo più precisamente, ma diciamo che immagina bene. È uno dei paradossi della nostra epoca, non trova?, pagare molto per non comprare nulla. C’è un filosofo francese che ha detto che la parola d’ordine dei nuovi capitalisti è “anche io sono uno schiavo”».
«Schiavi del cannibalismo del capitale».
«Esattamente. Dobbiamo tutti spingere la macchina in salita».
«La spingono solo quelli a cui fa comodo».
«Non creda, Commissario, ormai sono finiti i tempi delle rivoluzioni. Si legga Il banchiere anarchico di Pessoa. Se si vuole cambiare il sistema bisogna entrare a farne parte, giocandolo secondo le sue regole».
«Sarei d’accordo con lei se questo non desse un alibi morale ai carrieristi. Continuate pure a tagliare gole, potete combattere il sistema anche così. Sarebbe come autorizzare gli assassini a uccidere dicendo che così, alla lunga, finiranno gli omicidi».
«O come autorizzare lo Stato a uccidere i criminali dicendo che la pena di morte scoraggia il crimine. Del resto, se le dicessi il contrario, lei poi penserebbe subito che Lagri l’ho ucciso io, quindi non mi conviene compiacerla».
«Non sento questo bisogno. Però potrebbe farlo lo stesso spiegandomi perché doveva incontrare Lagri».
«Posso chiederle come lo sa?».
«No».
Il tono di quella domanda aveva fatto scoprire Antico. Finché aveva filosofeggiato aveva usato un tono di voce pacato e ironico che dava l’impressione della sua sicurezza, che rendeva perfettamente l’idea di come lui credesse di avere la situazione sotto controllo. Aveva usato il tono di voce un po’ falso che hanno le persone che non devono o non possono lasciar vedere cosa pensano. Un tono neutro, grigiastro, di quel bel antracite che tiene le cose per sé, che interferisce fra l’occhio e le macchioline e fra l’orecchio e le emozioni.
Il tono di quella domanda di Antico, però, era suonato brusco, perché evidentemente non se l’aspettava per nulla. Si doveva essere sentito come un generale a cui vengono rivolte domande specifiche sulla disposizione delle proprie truppe dal generale nemico: una domanda precisa esige una risposta altrettanto precisa. E non solo precisa, ma anche sincera. Antico, a quel punto della conversazione, sapeva che il Commissario lo stava ancora valutando. O, quantomeno, lui faceva sempre così quando parlava la prima volta con qualcuno: gli faceva delle domande di cui già sapeva la risposta per testare l’onestà e l’affidabilità. Antico, quindi, immaginò che il Commissario già conoscesse la risposta alla domanda che gli aveva posto, per cui non si sognò nemmeno di mentire e rispose sinceramente:
«Avevamo in progetto di avviare un nuovo settore di ricerca alla Ph.Arma, pensavamo di dedicarci ai cavalli».
«In che senso?».
«Sa quanto pagano gli allevatori di cavalli di razza per curare le gravidanze dei loro cavalli? Si tratta di cifre astronomiche ogni anno, perché oltre a costi di laboratorio elevatissimi, ci sono i costi “di stalla”. Ogni volta che una gravidanza non va a buon fine, questi allevatori hanno perso milioni di dollari in un istante. Riesce a immaginare quindi che cosa darebbero in cambio di analisi pre-impianto infallibili e di test ecografici attendibili?».
«Lagri che ruolo aveva in tutto questo?».
Mario Antico si alzò, prese il portacenere e lo vuotò nell’immondizia, dopodiché prese una bottiglia di vodka patinata di ghiaccio e la portò al tavolo con due bicchieri piccoli accompagnandola con le parole «Molto secca».
«Conosceva Marco Lagri e il dottor Aulo Gellio Marinaro?».
Antico sorseggiò la vodka ghiacciata. Tirò una boccata dal sigaro.
«Sì, li conoscevo. Ovviamente. Per una ragione o per l’altra le persone mi parlano sempre di altre persone e alla fine so sempre qualcosa di chiunque».
“Privilegio di chi conta avere informatori” pensò il Commissario.
«Marco Lagri, che a quanto so, nell’ambiente, veniva chiamato “Cappuccetto rosso”...» insinuò Antico.
«Perché?».
«Beh, coi soprannomi bisogna sempre ipotizzare. È difficile capire come mai qualcuno finisca con l’essere chiamato in un certo modo. Io immagino che lo chiamassero così perché finiva sempre col cavarsela, anche se faceva brutti incontri. Insomma, anche se incontrava il lupo poi succedeva qualcosa che lo tirava fuori dai guai. Del resto sarebbe in linea col personaggio. Da quello che so, non esitava a ricattare e non esitava a vendersi. Del resto capita spesso nell’ambiente dei manager: vai dove va il denaro, e il denaro va veloce e va dovunque. Se dovessi attingere alla mia esperienza, direi che la figura di Marco Lagri – proprio come fosse il personaggio di un apologo – è fondamentale, poiché larga parte delle considerazioni sul suo caso vengono definite in base alla sua personalità: una personalità attraente, istrionica, debordante, approfittatrice, un manager delle relazioni più che dei fatturati, dei contatti più che dell’iperlavoro. A quanto sento al bar o alla piscina, lei investiga su di lui più psicologicamente che altro. Anche per questo somiglia a Cappuccetto rosso, visto che tutti si fanno tante domande sulla sua vita e sulla sua personalità più che sul suo lavoro».
«Mi pare naturale, visto che, a quanto mi dicono tutti, i suoi principali mezzi di persuasione, cioè d’affari, erano la seduzione o il ricatto, invece dei resoconti finanziari».
«Certo, anzi, sono perfettamente d’accordo con lei e mi complimento per la scelta del suo metodo. Probabilmente, alla lunga, si rivelerà il più efficace in questa storia. Tornando a noi... ma lei non beve Commissario, preferisce qualcosa di analcolico?».
Il Commissario sorseggiò, spiegando che la vodka andava benissimo ma che era preso dalla conversazione.
«Quindi, tornando a noi, posso dire di Lagri giusto quello che si spettegolava. Che stesse pensando di cambiare azienda e che la Ph.Arma gli avesse fatto qualche proposta».
«C’entrava anche lei in queste proposte?».
«Questo non saprei dirglielo. Del resto non mi stupirebbe saperlo, visto che in qualche modo ho la fortuna di attrarre l’interesse dei miei colleghi e dei finanziatori. Qualcuno mi dice che fosse omosessuale e che il suo compagno del momento fosse un medico, ma non saprei dirle chi. Del resto immagino non le serva».
«Potrebbe. Ogni tassello è utile a comporre l’immagine. E del dottor Marinaro?».
«Il dottor Marinaro è un giocatore di poker eccezionale».
«Era, visto che l’abbiamo trovato morto poco fa».
Antico aspirò il sigaro, deglutendo il fumo come un pezzo di arrosto. Bevve la vodka d’un fiato e poi se ne servì un altro bicchiere.
«Ecco, allora, perché è qui: ha trovato i soldi che ho perso e ha pensato...».
«Eviti di farmi l’autopsia. Mi spieghi piuttosto di quei soldi».
«Li ho persi al gioco ieri notte. Stamane li ho ritirati per pagarlo».
«Tra gentiluomini non andava bene un assegno?».
«Quando posso, queste questioni le pago in contanti: i debiti di gioco sono debiti di onore e i debiti d’onore si pagano in contanti. Per questo giro con molti contanti quando viaggio».
Il Commissario rifletté, camuffando la riflessione da assunzione lenta e metodica di vodka: curiosamente Marinaro aveva mandato a Labile un messaggio chiedendogli un incontro e nello stesso giorno aveva ricevuto da Antico quel malloppo. Difficilmente si trattava di una coincidenza. Antico e Marinaro si erano scambiati qualcosa e quel denaro era un pagamento, la storia del debito d’onore era semplicemente ridicola. “Non sarà mica un pregiudizio, vero?” chiese a se stesso, ma non si rispose, come a sottintendere che non prendeva nemmeno in considerazione la domanda in quanto capziosa.
«Comunque, Commissario, anche di Marinaro non le saprei dire molto: era un avido. Anzi, da quello che si sentiva in giro, era uno senza troppi scrupoli. Non credo che avrebbe difficoltà, chiedendo un po’ in giro, a raccogliere una ricca aneddotica su di lui e sui suoi metodi».
Il Commissario era sconsolato. Quella discussione era stata inutile, ma se non altro aveva finalmente visto Antico, e l’impressione che ne aveva tratto era discordante, per non dire poi della sensazione stranissima di “incongruità” che provava, come se qualcosa nella stanza non fosse al suo posto. Si alzò con calma, si rimise in testa il cappello bianco, si schiarì la voce.
«Va bene, dottor Antico, non la disturbo oltre. Nel caso immagino di poterla trovare nel Villaggio» disse mentre l’altro si alzava, con la stessa calma.
«Ma certo. Quando vuole».
Accompagnò il Commissario alla porta della villa, sulla soglia si salutarono con un cenno del capo, ma prima di accomiatarsi, il dottore chiosò:
«Io lo so, Commissario, che lei adesso avrà voglia di semplificarmi, di schematizzarmi, di mettermi dentro a una bella griglia e di dire “Ecco l’ennesimo dottore affarista e tagliagole”. Ma la invito, invito lei, che è un uomo colto, intelligente, a domandarsi con più attenzione quello che rappresenta l’amministrazione del potere, del denaro, dei posti di lavoro. Avere una simile influenza sugli esseri umani. Ci pensi bene prima di impoverire con una definizione estemporanea tutta la mia vita».
Il Commissario non rimase impressionato da quell’autoperorazione: come aveva imparato al liceo, exusatio non petita... Addirittura in qualche modo lo faceva ridere, questa pretesa di dare complessità alla sua storia personale: un tagliagole con pretese di innocenza, “sono state le circostanze, il destino cinico e baro, il karma: io sono una vittima, un buono costretto a essere cattivo”.
«Naturalmente, dottore, terrò ovviamente conto della complessità della sua storia. Arrivederci».