C'eravamo tanto amati
In questi tempi di trementina, acetone e benzina non è così insolito esser invitati a cena da amici e amiche con problemi coniugali. E l’uomo di mondo, cioè di lettere, sa quanto sia complicato essere un buon interlocutore in questi casi. Si sa già come andrà a finire il discorso. È inevitabile. Sulla strada maestra delle miserie di coppia si possono innestare stradine secondarie dove lei tutto sommato non ha colpa, ma anche lui non è così colpevole. Se poi ci sono bambini di mezzo, anche l’amico più diplomatico potrebbe avere qualche difficoltà a trarsi d’impaccio. Come essere diplomatici, ma chiari? Come essere partecipativi, ma sanamente distaccati? Ma soprattutto come impedirsi di dare consigli che ci coinvolgerebbero in una situazione dove non c’entriamo e, per di più, dove è bene non mettere il dito?
Fortunatamente i nostri amici libri ci vengono in soccorso. Quanti problemi in meno avrebbero le persone se fossero alfabetizzate. Nel nostro caso specifico ci viene in aiuto un libro scritto, come somma giustizia poetica, da una donna su un uomo: il titolo è “Jacques Lacan. Profilo di una vita, storia di un sistema di pensiero” e l’autrice Élisabeth Roudinesco. Il libro è pregno della Parigi sopra le righe del Novecento dagli albori agli anni Ottanta e vi si affollano i nomi di personaggi come Bataille, Dalì, Heidegger, Althusser, Derrida e via via folleggiando. Ma questo non zavorra la lettura, tutt’altro: essa scorre fluida, sulle tracce dell’eccentrico psichiatra e psicanalista per le pieghe della élite culturale europea del secolo scorso. Il Lacan che ne esce è delizioso, spassoso, fra John Belushi e Champollion non senza qualche spruzzata di Cagliostro. Come lo ebbe a definire Carmelo Bene a metà dell’undicesimo capitolo della sua “Vita”: "geniale clown che non ha lasciato nemmeno le briciole del suo spericolato andar fuori di strada".
Il genio di questa clownerie spericolata non è solo negli scritti psicopatologici o nei seminari ventennali, ma lo si riscontra anche nella vita privata. Perciò, nel caso in cui il vostro interlocutore dovesse, nel bel mezzo della vichyssoise, attaccare sul tema di “ora la mia vita non esiste più, è totalmente cambiata, tutto va in frantumi, tutto è in subbuglio”, fategli presente che “mentre Sylvia (seconda moglie di Lacan), a quarantacinque anni, cessava di portare il nome di Bataille e assumeva quello di Lacan, sua figlia Judith diventava legalmente la figliastra di colui il quale in realtà era suo padre (Lacan), nonché sorella acquisita dei figli di Malou (ex moglie di Lacan), di cui era in realtà la sorellastra. Rimaneva a tutti gli effetti sorella di Laurence (figlia di Bataille e Sylvia), di cui era in realtà sorellastra, e sorellastra di Julie (figlia di Bataille) con la quale non aveva in realtà nessun legame di sangue. Lacan faceva da padre ai figli di primo letto meno che a Judith e alla figliastra Laurence, la quale, nel corso degli anni, si sentì molto più vicina a lui che al vero padre”. Nonostante questo intrico, Jacques Lacan ha tempo di studiare Hegel, sedurre i surrealisti, da Breton a Dalì, importunare Heidegger, stringere amicizia con Merleau-Ponty, farsi odiare da Anna Freud e Marie Bonaparte, collezionare quadri d’autore (fra cui “L’origine del mondo” di Courbet, il che è dire tutto) e pubblicare su per giù una trentina di libri.
Dunque, usando lo stratagemma della citazione colta, fate notare al vostro interlocutore che la crisi matrimoniale è come l’Uomo Nero: se la ignori non c’è, e Lacan era un maestro del settore. In questo modo potreste anche arrivare indenni al conto senza passare per “ora che ne sarà di me?”.