De Montherlant o dell’anticonformismo
Henry De Montherlant o dell’irriducibile anticonformismo, disdegno alle convenzioni corroborato da nausea aristocratica, maschia virilità e latente tendenza alla misoginia, estesa talvolta alla misantropia; paradossale compiacenza della decadenza intesa come nostalgia del mito, sulfuree licenziosità antimoderne, alterigia classicista e olimpico distacco, sprezzo per la dozzinale novità e per il liturgico chiacchiericcio sul nulla, per l’argomento del giorno sulla bocca di tutti, l’irrilevante moda del momento; ecco, a pensarci bene dev’essere stato tutto ciò, ben più del pigro, assai vago, collaborazionismo di Vichy, ad aver spaventato i tipi altrove coraggiosi delle edizioni Adelphi, ad averli indotti ad una più modesta prudenza, o smemoratezza dopo l’azzardo iniziale. Tant’è che dell’opera principale di Henry De Montherlant - la tetralogia Les Jeunes Filles, (Pitié pour les femmes del 1936, Le Démon du bien del 1937 e Les Lépreuses del 1939), ferma ahinoi all’impolverata edizione Mondadori del 1958 – non resta che l’atto primo, giacché la ristampa integrale con nuova traduzione risulta enigmaticamente posticipata a data da destinarsi. Chimera. Ai lettori contemporanei non resta altro che il privilegio di poter succhiare avidamente il sublime fiele dell’entrée, Le ragazze da marito (1936), all’oggi unico volume disponibile. Più della censura poté la reticenza, o la diffidenza? Pavidità? Il prontuario del Mercato, lo spirito del tempo? L’ammirazione dell’autore per il tabù (in casa Adelphi) Evola? Qualche democratico ditino critico alzato? Supposizioni gravitanti attorno ad una decisione editoriale francamente incomprensibile: e Il sabba di Maurice Sachs allora? E Mac Orlan? E Genet? Jouhandeau? Klossowski? Artaud? Léon Bloy? I sincretismi di Guénon? Ceronetti e Cioran? Le pire sacrificali di Girard? Sacri vasi quelli, variamente contenenti veleni, eppure stampati e pubblicati intonsi da Adelphi, senza strane retromarce.
Montherlant no dunque, anzi peggio: com’è dell’opera bramata nella sua totalità, dei quattro spicchi della torta è concesso solo un assaggio tentatore, in attesa dell’attesa, sicché tanto vale, per chi può, la lettura in lingua. Nato morto fuori dal suo tempo, metamorfosato in qualche mito classico, risorto con la penna ispirata dalla lotta greco-romana, dal Bushido e dall’epopea cavalleresca castigliana, reincarnatosi idealmente nell’amato Sigismondo Malatesta, suicida stoico, elegante ghibellino antisentimentale destinato a diventare autore da omaggiare (fu accademico di Francia) e poi da rinnegare ieri figuriamoci oggi in epoca d’imbarazzante modestia letteraria; orbo reazionario, anarchico di destra sagacemente controverso – gli interessava la Tradizione, ben più delle vituperate polarità liberalismo/comunismo, tant’è che disprezzò come pochi gli U.S.A. - pessimista esteticamente attratto dalle gesta eroiche, resta dalle nostri parti poco conosciuto, abbandonato, monco di traduzioni e approfondimenti - nemmeno fossero i suoi libri pamphlet incendiari alla maniera di Céline - meglio ancora lasciato in sospeso, mummificato in attesa di un misterioso benestare per essere divulgato, come invece sarebbe d’uopo; tuttavia il fantasma di Montherlant sembra ancora nella condizione di potersi scegliere i lettori, gli adepti, gli stravaganti esegeti; pochi invero, affascinati dall’inattuale limpidezza di pensiero e insofferenti alla melassa dell’impegno civile, dell’ombelicale cronaca trasposta in letteratura, refrattari al moralismo pedagogico, al servilismo del buon cuore umanitario, perciò meglio sarebbe studiarlo direttamente il francese o affidarsi al colpo di fortuna nei mercatini dell’usato, piuttosto di scorgerlo per caso, il Montherlant in volume, tristo abbandonato su uno scaffale tra un gadget e l’altro in una di quelle librerie moderne, minimali e accecanti, ch’egli avrebbe di certo detestato. Se non fosse una biasimevole pratica collettiva, la causa meriterebbe il lancio della petizione: “Salva anche tu un Montherlant, adottalo, liberandolo così dalla prigionia plebea nelle brutte e oppressive librerie! (e dai fondi di magazzino)” Nessun seguito pianificato dunque in casa Adelphi, all’oggi solo Le ragazze da marito, però già quello in grado di rendere famelici i lettori. Voluttuosamente dipendenti gli iniziati.
Strano caso quello di Montherlant, dannunziano parigino, poco mondano anzi nauseato dalla società, e con una penna più buona di quella del Vate, irrequieto come molti scrittori tra le due guerre ma come pochi lontano dalle avanguardie, cattolico (preconciliare, ça va sans dire) per rispetto alla tradizione e al contempo pagano sui generis alla maniera di Nicolás Gómez Dávila, dell’anarca Ernst Jünger o di Carmelo Bene: “I nostri contemporanei sono stupidi, ma prostrarsi ai piedi dei più stupidi di essi significa pregare” (Nostra signora dei Turchi). Cultore della guerra – anzi del duello, e in mancanza di meglio interessato alla trasposizione mitraica, nella ritualistica della tauromachia – eppure non privo di tormenti esistenziali e fanciullesca pietas (giammai di adulta pietà), si distinse per intransigenza stilistica e reazionario eclettismo tipico dell’individualista antiborghese primonovecentesco, elitario assai diffidente per non dire palesemente avverso riguardo agli slogan progressisti: pace amore fratellanza e cazzate collettivistiche assortite, già a quei tempi fisime buone per i boccaloni e per la tirannia del conformismo dilagante; tipo umano via via sempre più raro, inattuale e stoico al quale sta bene niente dell’epoca volgare nella quale è costretto a vivere, però mica protesta, tantomeno s’indigna o sobilla, anzi rilancia insolente con affabulatorie retrocessioni ammantate di ieratico ascetismo: “L'uomo scivola più facilmente nella stupidità in tempo di pace piuttosto che in tempo di guerra”, “I bambini hanno il potere di istupidire completamente quelle che fino a quel momento erano ragionevolmente soltanto coppie di idioti” e ancora: “Amo molto quei personaggi che, nelle tavole del Quattrocento, sono indifferenti alla scena. Mi ricordano me stesso.” Fulminante spocchia d’un brontolone giustificata dalla scrittura disillusa ma pungente, talvolta superbamente cinica, consapevole della propria posizione di privilegiata retroguardia, sicché sovente gelidamente ironica, cruccio formale financo masochistico nello snobbare, quasi raccattandole per fare piacere agli elargitori, targhe, premi, attestati, riconoscimenti; così come altrettanto indifferente, tetragono, si pose a strali, avversioni, isteriche condanne incipriate di fresco moralismo egualitarista (ah! M.me de Beauvoir, la quale definì la sua opera una cafoneria); eppure egli stesso fu un finissimo moralista, certo a suo modo cocciuto a tratti misoneista, benché vessilifero d’una araldica morente si compiacque di spernacchiare con grande stile quella in fieri, il trionfante becero galateo sociale, socievole, sociologico, societario, sole o lampadina bruciata dell’avvenire, nonché le taumaturgie sempre più tracotanti e invasive della scienza, le ipocrisie umanitarie, gli astratti abbracci cosmopoliti, le emotività da femminuccia riadattate ad unico castrante criterio di discernimento.
Condizione privilegiata e ormai estinta dello scrittore: dover rendere conto a nessuno, men che meno ai vituperati, sempre indegni lettori, buoni solo come categoria astratta. Dovrebbero limitarsi a leggere quelli (lo meritassero), che altro pretendere? Presentazioni, confidenze, intrattenimento come funziona oggi? Prostituzione intellettuale. Tant’è che l’ultimo dei geniali impertinenti, l’ultimo grande scrittore italiano, Aldo Busi, lo ficca più volte nel suo romanzo d’esordio Seminario sulla gioventù: “E poi, temo che come uomo non m’interessi affatto. Sarebbe la prima volta che un artista interessante sia anche un uomo interessante” fa dire a Barbino a proposito dell’eventualità di conoscere personalmente lo scrittore francese. Corrispondendo e aggiornando così l’avversione di Montherlant per l’attiguità nefasta ai propri lettori. Ma soprattutto alle proprie lettrici. Già, perché Le ragazze da marito tratta proprio del rapporto epistolare tra il burbero scrittore Pierre Costals (così simile al suo ideatore) e alcune accanite ammiratrici, in vario modo convinte d’essersi innamorate di lui per interposta persona, ovvero confondendo il romanziere con qualcuno dei suoi artificiosi personaggi. Alle devote profferte giunte dalla pastorella in fregola mistica o a quelle prolisse della intellettuale, arguta elucubratrice sentimentale, Costals ribatterà con caustici silenzi – il ricorrente e sottilmente sadico (“Questa lettera non ebbe risposta”) - oppure congegnando elusive missive pregne di scetticismo, veri e propri saggi d’elegante, perfido quanto inappuntabile, respingimento. Difatti a fronte della manualistica ad uso dandy distillata in quei dinieghi le femmine sognatrici reagiranno con ulteriore enfasi, appiccicandosi fatalmente svenevoli, languide, struggenti e parossistiche, al feticcio maschile, rasentando quindi il ridicolo nell’auto-umiliazione. Pulzelle d’Orleans.. Sorpresa! anche il maschio può illudere, circuire, affascinare senza bisogno di trucchi e giochi di specchi, mica è pertinenza esclusiva della controparte. Pierre Costals infatti, col suo tetragono anti-romanticismo, finirà per volgere le proprie attenzioni più che all’amore idealizzato al meno compromissorio piacere frugale, alfine corteggiando una giovinetta, ingenua eppure maliziosa proprio perché scevra da sovrastrutture poetiche, auliche, sentimentali. D’altronde l’amore non è un sentimento bonario, pratica semmai destinata ai deboli o agli animali domestici, nemmeno una convenzione notarile, ma una piccola tragedia da disbrigare prevaricando o soccombendo: tutto il resto si chiama matrimonio, rituale festoso eppure non così dissimile da quello funebre. Libro essenziale per ciò che resta della maschilità europea, Les Jeunes Filles resta così impolverato fra le chincaglierie passatiste, tra argenterie ossidate e antiche superstizioni, cartolina spiegazzata che non ha trovato destinatario. Poi la cosa s’aggiusta: è sempre colpa delle poste. Dei corrieri. Degli indegni lettori.