Heimat 3 - cronaca di una svolta

In quel soleggiato giorno di metà novembre del 1989 che cambiò la Storia, il regista Edgard Reitz non si trovava a Berlino. Era a Monaco e stava girando un episodio centrale di Heimat 2.

Leggenda vuole che proprio mentre il Muro stava crollando insieme al suo mondo di sogni e utopie non mantenute, al Conservatorio di Monaco - nella finzione cinematografica - si stava ricostruendo e mettendo in scena proprio il momento in cui il giovane Hermann si trovò ad assistere alla cronaca del viaggio di Kennedy del 1963 a Berlino.

Quando il presidentissimo americano - il cui triste destino risultò tragicamente segnato proprio in quell’anno nevralgico del secolo breve - pronunciò la celebre frase “Ich bin ein berliner” (Io sono un berlinese).

Heimat 3 racconta l’ultimo decennio del secolo scorso, dalla caduta del muro al capodanno del nuovo millennio.

Un momento forte per la Germania, segnato non a caso da quella riunificazione che darà lo slancio ideale alla locomotiva tedesca nell’affrontare le sfide dell’Europa contemporanea e che traccerà il suo profilo attuale di cardine centrale nell’economia del vecchio continente.

E rispetto agli altri capitoli della saga, questo terzo movimento si delinea maggiormente come una sorta di “instant-movie” imposto dagli eventi.

Non a caso viene girato subito all’inizio del nuovo millennio e come tradizione sarà presentato a Venezia nel 2004, a venti anni esatti dalla prima serie, mantenendo così la declinazione di un capitolo per ogni decennio.

Il film (6 episodi, 12 ore) esce nelle sale italiane la stagione successiva con il titolo Heimat 3 – Cronaca di una svolta epocale, che traduce – più fedelmente del solito – il titolo originale Heimat 3 – ChronikeinenZeitenwende. Una parola composta – nella migliore tradizione della lingua teutonica –  che qualche letterato colto proverebbe a tradurre anche come “Palingesi”.

Questo seguito alla storia non si colloca solo come sviluppo narrativo delle situazioni precedentemente illustrate ma come vero e proprio dialogo tra due nazioni arbitrarie, quelle due artificiali espressioni geografiche che divisero per troppo tempo l’unico popolo tedesco. Non a caso per suggellare la fine della guerra fredda e delle due espressioni dell’Est e dell’Ovest il racconto di Reitz utilizza una metafora semplice e popolare, senza alcuna retorica. La gioia della nazione riunita che festeggia la vittoria del mondiale di calcio a Roma nell’estate del 1990, a poche settimane dalla riunificazione vera e propria conclusasi all’inizio dell’autunno di quel memorabile anno. Stavolta non allo stadio Olimpico ma sotto la porta di Brandeburgo.

Questa è la Storia con la esse maiuscola, che rappresenta le fondamenta del film. Su questo affresco “epico” si colloca il disagio esistenziale del nostro protagonista, Hermann Simon che giunge a quella fase della vita dove diventa inevitabile fare i conti con le proprie origini.

E nel dialogo di Hermann tra le sue due patrie, che si concluderà con l’inevitabile ritorno al paese, Reitz ci regala la caratterizzazione di un personaggio che sembra uscire dalle pagine più universali del Tonio Kroger di Thomas Mann. 

 

 

30-04-2015 | 12:19