I writer ai tempi di Pompei
Quando sale agli onori delle cronache, il tema appassiona. E soprattutto divide. I writer sono teppisti che imbrattano i muri delle città, costringendo la comunità ad assumersi costi indesiderati, oppure meritano di essere considerati artisti, poeti di strada? Facendo un percorso a ritroso nella storia, si scopre che il fenomeno non è di oggi. Anzi, ha radici piuttosto antiche. Il fatto è che il tempo si è mangiato tutto: i muri, insieme ai graffiti che li “ornavano”. C’è almeno un’eccezione che ce lo conferma, anche se ce la stiamo mettendo tutta per cancellarla dalla faccia della terra attraverso la nostra negligenza: Pompei. E magari ci riusciremo, stando all’allarme lanciato qualche tempo fa (anche se poi – pare – rientrato) dall’Unesco, che aveva minacciato di revocare il titolo di patrimonio mondiale dell’umanità per gli Scavi di Pompei, a causa delle pessime condizioni in cui versa questa area archeologica che non ha eguali al mondo.
Ma cosa c’era scritto sui muri di quella città, che, a un tratto, di colpo, in quel lontano 79 d.C., si è fermata, consegnandoci la vita così com’era?
C’era di tutto, naturalmente. C’era la poesia inconsapevole di un ragazzo innamorato, che scriveva: “Se qualcuno non ha visto la Venere che ha dipinto Apelle, guardi la mia ragazza: anche lei splende di tale bellezza”. C’era lo sberleffo: “L’ho detto, l’ho scritto: ami Iride ma lei se ne infischia”. C‘era l’appello della campagna elettorale: “Vi prego di eleggere alla carica di edile Aulo Vezio Firmo. Lo merita. Lo chiedono Caprasia e Ninfio”. E, oltre alle scritte e ai disegni sui muri, c’era anche il Cave Canem riportato nel mosaico della Casa del Poeta Tragico: il prototipo del nostro “Attenti al cane”, assurto al rango di proverbio, che Michele Santoro ha persino scelto come logo del suo Servizio Pubblico. Ma soprattutto c’erano notazioni che, per quanto eccezionali, si perdono nel microcosmo della vita individuale. “Il 18 ottobre una donna di Pozzuoli – annuncia un anonimo incredulo – ha dato alla luce tre maschi e una femmina”. Evento straordinario, come lo è oggi. A testimonianza che la vita continua: sempre uguale a se stessa. Duemila, mille, cento, cinquant’anni fa, le stesse frasi. Fra cent’anni, ancora uguali.
I writer di Pompei sono lo specchio di quello che siamo e di quello che saremo. Prendiamola con ironia allora, come fece uno di loro, leggendo quelle scritte: “O parete, mi stupisco che tu non sia ancora crollata: tu che sopporti le fastidiose stupidaggini di tanti scribacchini…”.