Il bel serpente del Paradiso terrestre
Jean Cocteau la definì «il bel serpente del paradiso terrestre». Enigmatica e altera come nel Boldini del 1908, non era bella: era magnifica. Avvolta in velluto nero, cupa e sensuale, con labbra tinte di rosso e occhi drammaticamente scuri, e dettagli che le divoravano il viso scarno. La marchesa Luisa Casati era una donna impossibile da dimenticare che fece dell’esibizionismo una potentissima ragione di vita.
Nata a Milano nel 1881, figlia del produttore di cotone Alberto Amann, trascorse un’infanzia privilegiata e isolata, divenendo prematuramente ricchissima ereditiera. Nel 1900 sposò il marchese milanese Camillo Casati Stampa di Soncino, dal quale ebbe Cristina. Rimbalzò all’attenzione della cronaca mondana non soltanto per la relazione con Gabriele d'Annunzio – “È la sola donna che mi abbia mai sbalordito” sentenziò il Vate – ma per la sua predisposizione a vivere «Come un’opera d’arte vivente». Alta e snella, Luisa era una visione folle e surreale. Incarnava i fasti di un’epoca splendente. Si muoveva sinuosa tra gondole e canali, contornata da levrieri bianchi e neri, ghepardi e pavoni al guinzaglio, pappagalli sulle spalle.
Nonostante ciò, non appariva mai innaturale ma diversa da tutte le altre. Le vistosità e gli eccessi erano un imperativo categorico. I pittori e gli scultori che ne subirono il fascino la dipinsero e la scolpirono, i poeti ne decantarono le eccentriche gesta, e i grandi sarti si mostravano disposti a tutto pur di poterla abbigliare. Mecenate d’arte e collezionista di palazzi, nel 1910 acquistò a Venezia l'abbandonato palazzo Venier dei Leoni – oggi sede della fondazione e museo Peggy Guggenheim – e nell’immensità di quei giardini accolse rarissimi animali esotici, corvi albini, pavoni e ghepardi che fecero da contorno ai sontuosi eventi che dilapidarono la sua fortuna.
L’egocentrismo di Luisa Casati era inestricabilmente legato all’esigenza di trasformarsi continuamente agli occhi curiosi ed estasiati degli artisti che dovevano documentarne l’evoluzione stilistica. Da qui, l’ossessiva ricerca di emergenti ai quali si legava da un’appassionata complicità per ogni eventuale esperimento d’arte. Fu musa e icona tra le più rappresentate dopo la Vergine Maria. Ispirò tra gli altri – oltre a Giovanni Boldini (nella foto) – anche Giacomo Balla, Man Ray e Cecil Beaton. Influenzò Tennesse Williams e Jack Kerouac, e Theda Bara, Valentina Cortese e Ingrid Bergman che interpretarono personaggi a lei liberamente ispirati. Nel 1930, a causa del suo altissimo stile di vita, accumulò un debito di 25 milioni di dollari; impossibilitata a soddisfare tutti i creditori, fu costretta a vendere la sua vistosissima dimora parigina, mettendo all’asta tutti i contenuti. Tra gli acquirenti, ci fu anche Coco Chanel. Luisa Casati si trasferì a Londra, dove visse in povertà fino alla morte avvenuta nel 1957.
Il suo epitaffio nel Brompton Cemetery recita: “L’età non può appassirla, né l’abitudine rendere insipida la sua varietà infinita”. Le stesse parole che Shakespeare usò per descrivere Cleopatra.