Il comandante senza vergogna

Non è bastato elevare a onore delle cronache il proprio Paese a zimbello del pianeta – ahinoi per l’ennesima volta – facendo naufragare la nave passeggeri di maggior tonnellaggio della storia, grossa come un quartiere di una città, e riuscire quasi ad affondarla. Con 32 persone che, a causa di quella manovra, ci hanno rimesso la vita. E nel farlo riuscire a tradire anche quella regola etica, morale e professionale che conoscono anche i bambini, secondo la quale ogni condottiero di vascello deve essere l’ultimo a lasciare la nave. Con quella frase pronunciata via radio, quell’urlo disperato della capitaneria di porto: “Comandante, torni a bordo cazzo!”.

Dopo tutto questo, dopo l’amica moldava, dopo le risposte arroganti ai giornalisti, ora dobbiamo anche vedere il comandante Schettino a una festa "in bianco" a Ischia  – che nella scala antropologica della micro-borghesia italiana sta un gradino sopra alla festa in pareo – con signore dal sorriso disarmante che si fanno fotografare al suo fianco (nella foto). Difficile dire se sia peggio lui, con quell’espressione senza vergogna, senza ritegno, abbronzato come un attempato vitellone di Rimini, o siano peggio le due “sciure” che col nostro si fanno un selfie ricordo. Cosa diranno le due gentildonne quando faranno vedere la foto ai loro amici o ai loro figli?

Una foto che è uscita sui giornali, ironia della sorte, proprio mentre si stavano ultimando le operazioni per rimettere in galleggiamento la Costa Concordia e riportarla, suo ultimo viaggio, nel cantiere navale di Genova dove verrà smantellata. Un gioco beffardo del destino che sembra dire, proprio in un giorno in cui potersi dire orgogliosi di essere italiani - l'operazione di spostamento della nave è un progetto ingegneristico che non ha precedenti nella storia - che no, noi siamo sempre quelli lì, quelli del disastro. Punto e basta.

Sul fatto che Alberto Sordi non avesse inventato niente, ma che si fosse limitato a osservare gli italiani con acume e straordinaria capacità d’immedesimazione, si sapeva già. L’albertosordismo, nefasto neologismo identificativo al ribasso, gli italiani non l’hanno imparato da nessuna parte, ce l’hanno da sempre nel sangue. Dalla politica allo sport, dalla finanza all’industria in Italia è tutto un “non sapevo, non volevo, non ero io”, lo scaricabarile come continua litania dell’apologeta italico. E poi quella mancanza di vergona, sentimento ormai bandito in qualsiasi classe sociale, sostituito al massimo con una punta di vittimismo iniziale, seguito a stretto giro di posta da quell’attacco che, in estrema ratio, diventa la miglior difesa. E mai un gesto di scuse o un atto di ammissione.

Anche il povero Louis Buñuel oggi, di fronte a tutto ciò, se fosse ancora in vita, verrebbe relegato tra i registi neorealisti, altro che surrealismo. Le charme discret de la bourgeoisie altro non sarebbe che una fotografia, edulcorata, della suddetta borghesia, che però in Italia è più micro che piccola. Sénéchal e Acosta, (Jean-Pierre Cassel e Fernando Rey) infatti, perfetti borghesi ideati dal genio spagnolo, al massimo si permettevano di deridere l’autista per come beveva un Martini, col mignolo alzato e tutto d’un fiato, senza gustarlo a piccole dosi. Tutta altra cosa rispetto a questi di “borghesi”, che ambiscono alla foto con una persona che è indagata per omicidio plurimo colposo, naufragio, abbandono di persone incapaci di provvedere a se stesse, abbandono di nave e omessa comunicazione dell'incidente alle autorità marittime.

Non per scomodare Lombroso, però il viso dello Schettino assomma due fisionomie precise e distinte: l’eterno bambino invecchiato senza crescere, alla Pierino di Alvaro Vitali per intenderci, e il seduttore impenitente delle telenovelas sudamericane dagli occhi cerulei – “ha due occhi colore del mare!” sembra di sentirle le due “signore” ritratte nella foto – che fuoriescono da quei chili di troppo che contornano il volto. Una faccia da vittima di un complotto, ecco cosa racconta il volto del comandante Francesco Schettino. Sì, perché anche lui l’ha detto, al processo “verrà fuori la verità”, la sua verità. Quella che vuole scrivere nel libro (sic!) a cui sta pensando con un editore e per il quale era presente alla festa in bianco di Ischia.

Ma quale punto di vista ulteriore deve emergere? Un comandante di una nave la porta al naufragio con una manovra azzardata, muoiono 32 persone, lui, per usare un eufemismo, non è l’ultimo a scendere dal transatlantico, e per giunta viene rimproverato da un altro ufficiale. Cos’altro c’è da dire? Quale verità ulteriore emergerà dal processo? Forse che la nave ha cambiato rotta a insaputa del suo comandante – l’insaputismo ormai è il nuovo sport nazionale – e in preda a un’antropomorfizzazione spinta si è incagliata, lei, la stronza, sulla costa del Giglio? 

 

 

25-07-2014 | 00:43