Il coraggio del poeta
C’è un peccato capitale che abita la poesia contemporanea, quello di sentirsi lirica, ergo “alta”, quindi non adatta al tempo che stiamo vivendo. E da questo peccato capitale la conseguenza immediata è quella di ritirarsi in quella turris eburnea che è il circolo dei pochi, degli “eletti”. Invece sarebbe il tempo di – questione sintattica oltre che metrica (oltre che etica) – spingerla con forza nello spettacolo turpe dell’analfabetismo semantico contemporaneo, quello dei social, dei like, dei post, insomma nel nostro tempo, abbracciato da parole tanto meschine quanto vuote. Ma per farlo serve che anche loro, i versi dei poeti, abbiano il coraggio di essere vergati su queste parole, ma senza edulcorarle, semplicemente usandole e metterle nel contesto che meritano. Metterle a nudo davvero, per una volta.
Un segnale in questo senso ce lo dà Emilio Zucchi con “Transazione eseguita” uscito per Passigli Editori: una raccolta di versi che hanno il coraggio detto sopra, di “sporcarsi” per il fine ultimo più alto, il tributo all’esistenza, nonostante tutto, l’elegia che merita la vita. Perché il presente è sempre presentabile, in ogni epoca, a ogni latitudine. E questo Zucchi lo sa bene, perché è un poeta vero, uno che il classico lo conosce bene, ergo si può permettere di “rischiare”. Poi questa raccolta esce nella collana di poesia fondata da Mario Luzi, non serve aggiungere altro.
Ha ragione Giuseppe Conte quando nella prefazione parla – appunto – di “libro coraggiosissimo, nel paesaggio abbastanza conformista della poesia italiana contemporanea”. Sì, perché qui si va oltre il giardino, in quel territorio che il pudore avrebbe (mal)consigliato di non esplorare – “la poesia deve raccontare l’ineffabile, il metafisico”, si potrebbe udire dalla torre d’avorio. Ma difficile pensare al metafisico senza il fisico, e qui la coerenza tematica e sinfonica fa proprio questo, racconta un mondo senza armonia, senza bellezza, senza dignità; un mondo fatto di parole che sono lo specchio di un’umanità che sembra non sapere nulla del passato, vivere solo il presente e non porsi il problema dell’avvenire. Insomma, lo zero dell’esistenzialismo spiegato attraverso il linguaggio contemporaneo, fatto di termini tecnico-economici e null’altro. La poesia di Zucchi è un pugno nello stomaco, evoca i fucilati di Goya, il nero di Rembrandt, la serialità di Opalka: “Profanazione dei neuroni, web / assediante l’attesa per distruggerla, / uomini senza attesa imprigionati / dentro l’istante performante”. E ancora: “Mandibole d’angoscia, urlo interiore / d’Ugolino. Il silenzio degli schemi, / di notte, negli uffici”. C’è la pornografia contemporanea, c’è la poesia; c’è la tecnica, c’è la lirica. Ci si può spingere più il là, con versi ancora più alienanti, ma si può anche tornare un po’ indietro, a quando le parole erano calde. E allora, magari, si trova il pipistrello “che entra di notte nella stanza, enorme, / le ali sbattendo contro le pareti / anche se il lume è acceso”. Come ripeteva sempre Emanuele Severino stiamo lasciando il mondo della tradizione per quello della tecnica, dove ognuno di noi potrà avere l’illusione di esprimere il massimo del potere individuale. Ma quando al grande filosofo chiedono cosa accadrà quando anche il tempo della tecnica finirà, la risposta non lascia spazio ad altro: “Allora, si compirà il destino dell’uomo”. Allora in questa fase di transizione ci soccorra la poesia. Che sia coraggiosa però. Transazione eseguita.