Il sogno di Balzac in Sardegna
Honoré de Balzac non si negò mai alle passioni. Quell'uomo che nei ritratti sembrava un borghese tranquillo e pasciuto ebbe in realtà una vita molto intensa: fu uno scrittore prolifico, amante delle donne e gran frequentatore di salotti mondani. Ma fu anche un uomo perennemente in fuga dai creditori: per mantenere la sua vita in bilico tra lusso e bancarotta, infatti, spese la sua vita sempre in cerca di denaro. La sua vasta produzione letteraria, infatti, rispondeva in parte a un genuino desiderio di esprimersi attraverso l'arte, e in parte alla stringente necessità di far fronte ai fallimenti imprenditoriali e a un tenore di vita piuttosto dispendioso.
Con i primi racconti che lo resero celebre, Balzac cominciò a ricevere lettere di donne affascinate dalla sua scrittura. Nel novembre del 1832 ricevette un biglietto da un'ammiratrice misteriosa firmato “La Straniera”. In quelle poche righe, che venivano da un paese lontano, c'erano i perfetti ingredienti per scrivere una storia d'amore. E Balzac decise che avrebbe scritto quella storia. Ma non sarebbe stata una finzione letteraria: per qualche misteriosa ragione decise che quella donna sarebbe stata la grande storia d'amore della sua vita. E fu così che cominciò tra i due una fitta corrispondenza.
La straniera del biglietto era Ewelina Hanska, una contessa polacca, sposata, che viveva in Ucraina. I due riuscirono ad attraversare mezza Europa per incontrarsi e trascorrere qualche settimana insieme. Gli incontri si ripeterono ma i viaggi erano dispendiosi e Balzac voleva offrire a Madame Hanska tutto il meglio. Voleva, in cuor suo, essere all'altezza di una donna blasonata. Il denaro, però, finiva sempre troppo in fretta e la necessità di procurarsene altro si faceva ogni giorno più impellente: fu così che maturò l'idea di un viaggio in Sardegna dove, a quanto aveva sentito dire, esistevano giacimenti inutilizzati di argento e piombo.
Questo viaggio, intrapreso più per disperazione che per spirito di avventura, fu pressoché grottesco. Lo scrittore cominciò a progettarlo nel novembre del 1837, ma partì solo nel marzo del 1838, a causa delle consuete difficoltà finanziarie si imbarcò in un viaggio decisamente rocambolesco. Da Parigi raggiunse Marsiglia e da qui la Corsica, sostandovi per qualche settimana. In aprile giunse finalmente in Sardegna, ma l'imbarcazione su cui si trovava fu lasciata in quarantena al largo di Alghero. Durante quei giorni scrive a Madame Hanska: "...ho conosciuto le privazioni dei marinai, dovevamo mangiare il pesce che noi stessi pescavamo e che facevamo bollire per farne una zuppa esecrabile. Abbiamo dovuto dormire sul ponte e lasciarci divorare dalle pulci che abbondano, così si dice, in Sardegna. Ma pur intravedendo una popolazione cenciosa, completamente nuda, scura di pelle come gli Etiopi...". A bordo di quell'imbarcazione nutriva le sue illusioni e vedeva nella Sardegna che stava lì, davanti ai suoi occhi, il suo personale Eldorado. Cosa accadde dopo è presto detto: lo scrittore scoprì che non era possibile sfruttare la miniera dell'Argentiera, nella Nurra tra Alghero e Sassari, perché qualcuno si era già accaparrato la concessione prima di lui. E lo stesso accadde per le miniere di Domusnovas, nei pressi di Cagliari.
Quando scrive di nuovo a Madame Hanska, il 17 aprile 1838, Balzac è già un uomo deluso: il sogno è finito. Eppure nella lettera egli non parla delle sue aspettative tradite, ma stende sulla triste realtà un velo di avventuroso esotismo, restituendo l'immagine di una Sardegna aspra e selvaggia fino all'eccesso:
Ho finito di percorrere l'intera Sardegna e ho visto cose tali come si raccontano degli Huroni e della Polinesia. Un intero regno desertico, veri selvaggi, nessuna coltivazione, savane di palme selvatiche; ovunque le capre brucano tutti i germogli e impediscono alla vegetazione di crescere oltre la cintura. Ho fatto da diciassette a diciotto ore di cavallo – io che non montavo a cavallo da quattro anni – senza trovare una casa. Ho traversato foreste vergini, piegato sul collo del cavallo a rischio della vita, perché per attraversarle bisogna camminare lungo un corso d'acqua ricoperto da una volta di liane e di rami che mi avrebbero cavato un occhio, portato via i denti, rotto la testa. Ci sono querce verdi gigantesche, alberi da sughero, lauri, eriche di trenta piedi di altezza. Niente da mangiare. (...) Da Sassari a qui ho percorso tutta la Sardegna attraverso la via centrale. Essa è dovunque la stessa. C'è una regione nella quale gli abitanti fanno un orribile pane riducendo in farina le ghiande della quercia verde e mischiandola con argilla: a due passi dalla bella Italia. Uomini e donne vanno nudi con un brandello di tela, uno straccio bucato per coprire il sesso. Ho visto, nel giorno di Pasqua, accozzaglie di creature a branchi al sole lungo i muri di terra delle loro tane. Nessuna abitazione ha il camino: il fuoco è acceso nel centro della casa che è coperta di fuliggine. Le donne passano il giorno a macinare e impastare il pane e gli uomini badano alle capre, ai greggi e tutto è incolto nel paese più fertile al mondo. In mezzo a questa profonda e inguaribile miseria ci sono villaggi con costumi di stupefacente ricchezza.
Poi Balzac tornò a Parigi e riprese a scrivere furiosamente, anche per più di sedici ore al giorno, minando la sua salute già provata dalle delusioni. Dell'esperienza sarda non gli restarono che una manciata di parole della donna amata. E le macerie di un sogno.