La libreria più bella del mondo
Si chiamava Whitman, come Walt. Era un poeta bizzarro, come Walt. Ma di nome faceva George. Dentro i confini della letteratura anglosassone era conosciutissimo, eppure non ha mai pubblicato una riga. E la sua libreria parigina, la Shakespeare & Company, vicino a Notre-Dame, negli anni è diventata il locus amoenus di tanti scrittori e girovaghi. È sempre stato definito un mecenate senza soldi, “a kind of maternal cow”, una specie di mucca materna, come lo appellava Allen Ginsberg. Whitman se ne è andato il 14 dicembre 2011, a 98 anni appena scoccati.
Alla fine degli anni Quaranta rilevò la leggendaria libreria di Sylvia Beach a Parigi. L’editrice di James Joyce l’aprì nel 1919 in un’altra zona della città – in rue Dupuytren – e divenne subito il rifugio di tanti scrittori: dall’autore di Ulysses a Ernest Hemingway e Ezra Pound, per citarne alcuni. Durante il secondo conflitto mondiale, però, Sylvia fu costretta a chiuderla a causa dell’occupazione tedesca. E non riaprì più.
Fino a quando, a guerra finita, questo giovanotto americano s’incaricò di riaprirla in un altro luogo della città, rue de la Bûcherie, dove è ancora oggi. E riaprendola ereditò anche la responsabilità – e la magia – di questo luogo mitico. Tanto che dopo un tentativo di ribattezzarla col nome di Le Mistral tornò sui suoi passi e le riconsegnò il nome originario.
Negli anni tutti sono passati da questo luogo magico, gli scrittori che sorridono dalle foto appese ai muri, come detto, si chiamano Francis Scott Fitzgerald e Ernest Hemingway – che la menzionò in Festa mobile –, Henry Miller e Laurence Durrel, Ezra Pound e Gertrude Stein, Man Ray e James Joyce. E poi le guerre, il boom economico, l’esistenzialismo, Sartre e Aragon, gli anni dell’amore libero, il ’68 francese, gli anni ’70, un periodo d’oro per la libreria, quello dalla Beat Generation fino ai giorni nostri. Di acqua sotto i ponti ne è passata tanta: Fitzgerald è morto quasi in miseria, Hemingway ha scelto la sua dipartita e Miller se ne è andato così vecchio da essere quasi irriconoscibile.
Oggi la libreria è gestita dalla figlia di George Whitman, Sylvia – guarda caso –, ha ancora le sue tre vetrine, una vicina all’altra, e i tre piani di libreria dove, tra un divano e l’altro, accoglie ancora giovani scrittori e viandanti. Per dormire tra queste mura è sufficiente presentarsi e offrire un po’ di lavoro nei giorni di permanenza: certo sono lontani i fasti del grand hotel, però l’accoglienza è stupenda e la storia della letteratura veglierà sui vostri sogni.
Al primo piano, infatti, tra libri rilegati in pelle e infolio ingialliti, ci sono brande e materassi ricoperti con tessuti “di passaggio”, durante il giorno adibiti a divanetti per i frequentatori della libreria, che di notte diventano letti per chi volesse fermarsi.
A fianco della cassa una scritta in inglese recita: “Non essere inospitale con gli stranieri, potrebbero essere angeli mascherati”. Sotto, un marchio: “Shakespeare & Co. Kilometer 0”. Già, perché da Notre-Dame, cuore indiscusso della città, parte il conteggio dei chilometri per sapere quanto si è distanti da Parigi.
In questa libreria non squillano cellulari, internet non esiste (o quasi) e non si accettano carte di credito. Il tempo qui da George, ora da Sylvia, sembra non correre. E c’è anche una speranza che non muta: che il mondo, nella sua folle corsa, un giorno passi ancora di là.