La nuova via della Seta
Il 29 ottobre a Istanbul è entrato in funzione il tunnel ferroviario sotto il Bosforo, da Sirkeci, sulla sponda europea, a Üsküdar, su quella asiatica: due continenti in quattro minuti, cinque milioni di passeggeri nei primi quindici giorni di funzionamento. Il progetto è stato avviato nel 1860 dal sultano Abdülmecid I: nel disegno originario – di un ingegnere francese – era una condotta sottomarina retta da piloni poggiati sul fondo del mare; è stato realizzato solo 153 anni dopo, grazie alla tecnologia giapponese e in forma molto diversa: undici elementi in cemento armato ignifugo posati su di una trincea appositamente scavata a 62 metri di profondità e poi uniti e ricoperti, per una lunghezza complessiva di 1387 metri. Il tunnel fa parte del sistema urbano di trasporti che congiunge le periferie orientale e occidentale – 13,6 chilometri già attivati, 76,3 in totale entro il 2016 – e che verrà integrato alla rete dell'alta velocità in fase di costruzione in tutta la penisola Anatolica, verso Oriente.
E' il ritorno in grande stile della via della Seta, che nel XXI è ferrata – demir ipekyolu – ed estesa da Londra alla Cina; il primo ministro del Sol Levante, Shinzo Abe, in occasione della cerimonia di apertura del Marmaray ha proposto – scherzosamente, ma non troppo – un futuristico prolungamento sottomarino fino a Tokyo. Per la Turchia, è un primo coronamento della sua aspirazione geopolitica: diventare il centro del continente afro-eurasiatico; per Istanbul, la riappropriazione della sua vocazione universale: capitale di tre imperi (romano, bizantino, ottomano), nobile decaduta dopo la fine del potere dei sultani e la proclamazione della repubblica – con trasferimento della capitale ad Ankara – nel 1923, oggi megalopoli di 15-17 milioni di abitanti e motore economico del boom turco.
Per aprire il tunnel sotto il Bosforo ci sono voluti quasi dieci anni di lavori, che per quattro sono andati però a rilento a causa delle strabilianti scoperte archeologiche durante gli scavi per la stazione sotterranea di Yenikapı, sul mare di Marmara. Un plastico nella grande e luminosa sala centrale illustra 8500 anni di complessa stratificazione, dal neolitico a oggi: tra cui spiccano tracce delle mura di Costantinopoli; le strutture del porto romano di Teodosio, poi interrato e trasformato in frutteto; i relitti di 37 navi, soprattutto mercantili – epoca variabile dal VII all'XI secolo – e con tanto di carico a bordo; l'insediamento neolitico di capanne, con orme umane sul quello che era il letto del fiume Lykos.
Tutta la stazione è decorata con rilievi che ricordano gli oggetti rinvenuti nell'area: monete, gioielli, anfore; ma è solo l'anticipazione del futuro di Yenikapı, che diventerà un parco archeologico dotato di museo: in cui verranno esposte – fra 10 anni almeno – i relitti opportunamente trattati e restaurati. La direttrice degli scavi e del museo archeologico di Istanbul, Zeynep Kızıltan, ama spesso sottolineare un'altra dimensione delle scoperte: i diversi stili di sepoltura nello strato neolitico, la prova che già 8500 anni fa Istanbul era abitata da popolazioni provenienti da mondi diversi. Una città cosmopolita nel Dna.