La poesia come resistenza
Il Ticino è al tempo stesso un “paese dimenticato”, una “terra matta”, per riprendere le parole di Alberto Nessi, una terra d'esilio, un luogo di passaggio fra Nord e Sud, una terra colonizzata, benedetta da quegli dei che le hanno regalato un clima mite e paesaggi sublimi, una provincia con tutte le sue meschinità, i suoi pettegolezzi e la sua ristrettezza.
Coccolati, sovvenzionati, poco conosciuti nel loro stesso paese come in Italia, gli scrittori ticinesi devono sbrigarsela con queste contraddizioni. E fra questi Alberto Nessi è uno di quelli che più si è impegnato per il riconoscimento ‘esterno' di un'identità ticinese. Grazie alla sua presenza calorosa, i suoi scritti raffinati e accessibili al contempo e la generosità con cui li condivide. È nato il 19 novembre 1940. Due case editrici importanti: Dadò e Casagrande. Una quantità sorprendente di riviste letterarie.
In questo contesto il posto di Alberto Nessi è centrale. Cresciuto in un ambiente popolare, si è sempre sentito in debito verso i suoi genitori. Ha distillato qua e là le loro vite nel cuore di molti racconti, mescolandole ad altri destini “irregolari”. Storie di contadini e di operai, di rivolte e di scioperi, di solidarietà, ma anche di solitudine e silenzio. Anche per questo gli è stata assegnata l'etichetta di “poeta sociale”, che lo irrita ma in cui pure, in parte, si riconosce.
Alla soglia dei settantacinque anni Nessi ci regala emozioni con Miló (Edizioni Casagrande Bellinzona). Storie della Resistenza e storie di resistenza. Passato e presente si confondono e danno origine a un complesso mosaico i cui tasselli sono uomini e donne che tra Nord Italia e Svizzera hanno vissuto fragili esistenze. La banda di Miló, i ricordi di Giustina, il silenzio di Ultimo: una nota diversa in ogni racconto, ma un comun denominatore che si chiama coraggio.
Coraggio di chi ha dato la propria vita in cambio della libertà di un altro, di chi sceglie la parola fine quando continuare non ha più senso. “Sarebbe necessario che dietro la porta d’ogni uomo soddisfatto e felice stesse qualcuno a rammentargli continuamente col battere di un martelletto che esistono degli infelici” scriveva Čhecov. Il nuovo libro di Alberto Nessi fa questo: ci ricorda, con grazia e sensibilità, che il mondo è pieno di esseri effimeri che vivono lo spazio di un giorno e conservano dentro di sé la luce tenue delle lucciole, che nel buio pesto del nostro tempo hanno la forza del sole.
Nel racconto Pascoli alti ecco la sua terra: “Un uomo cammina solo, come s nuotasse nei ricordi. È in cerca di qualcosa che lo stupisca. La sua vita è diventata abitudine, gesti ripetuti, prevedibili. Ogni giorno va dal villaggio dov’ è nato, un nido di case nella scarpata della montagna, fino a Roncapiano da dove un sentiero sale ripido verso il Generoso. Oggi l’aria sa di umido, di fungo, di timo selvatico”.
Racconta Alberto Nessi: “Abitavo in una casa di fronte a una fattoria. Per giocare avevamo la stalla, i prati, il fiume. Davamo i nomi dei ciclisti (Coppi, Koblet, Kübler, Bartali) a dei legnetti che mettevamo in acqua per fargli fare il Giro d'Italia. Ero una bambino tranquillo, non un ribelle. Ho cominciato a scoprire il fascino della parola e della bellezza grazie a un martin pescatore che avevo visto nei pressi del fiume Breggia (dove oggi ci sono degli alberi metallici a proteggerci dai rumori dell'autostrada). Io sono rimasto fermo, davanti a questo miracolo della natura. Poi ho conosciuto altre parole, per esempio che una catena di montagne poteva chiamarsi giogaia. Ho cominciato a pensare che c'era qualcosa di misterioso nelle parole. E poi mi è stato detto “Tu farai il maestro”, il maestro di scuola, talmente ero tranquillo! Così sono stato mandato alla Scuola Magistrale, e sono entrato nell'età della ribellione, dell'adolescenza. Mi sono quasi fatto espellere a causa di un'espressione che avevo messo in un componimento per fedeltà alla fonte, un'espressione presa da un amico che mi raccontava i suoi sogni. Leggevamo Pratolini, Pavese, Pasolini. Volevo fare del neorealismo. Poi per cinque anni ho insegnato, mi piaceva fare il maestro. In seguito mi sono convinto che dovevo andare all'università, e sono partito per Friburgo. Là, certamente, ho imparato delle cose sulla letteratura, ma l'ambiente accademico non faceva per me, e ottenuta la licenza di maestro delle medie, sono rientrato. Mia madre aveva bisogno di me…”.
Ecco allora in Forever (dedicato al padre): “Sei uno di quelli che non hanno lasciato traccia, uno dei tanti. Eri ragazzo quando è scoppiata la Grande guerra, giovane insofferente durante il fascismo, padre quando Hitler invadeva Parigi. Tu, vissuto sempre qui in questa terra d’ innocenti, dove giungono solo i cerchi formati dai sassi che cadono nell’ acqua della Storia: noi siamo seduti sull’ orlo del pozzo e cogliamo gli spruzzi di quell’ acqua insanguinata, che presto s’acquieta. Dalle profondità del pozzo viene anche l’eco dei tonfi, l’ urlo degli accoppati…”. Alberto Nessi va letto. Senza indugi.