La psicoterapeuta di nome Medea

Edipo si accecò quando seppe di aver ucciso il padre e di essersi accoppiato con la madre. Elettra, figlia di Agamennone e Clitennestra, si vendicò della madre, che fece ammazzare il marito dal proprio amante Egisto, e la uccise. Medea, lacerata dal dolore causato dal tradimento e dall’abbandono di Giasone per una nuova donna, finse una riconciliazione con il marito e realizzò il vestito di nozze per la nuova moglie intriso di veleni letali. Non solo: lacerata dall’odio, uccise anche i propri figli, in quanto discendenza e sangue di Giasone.

Che cos’hanno in comune Edipo, Elettra, Medea? Sono protagonisti delle omonime tragedie greche, certo. Ma danno il nome anche ad altrettante patologie della mente. E soprattutto ci insegnano qualcosa di fondamentale, ossia che la salute della nostra psiche può essere garantita per diverse vie. E il mito può essere una medicina formidabile, oltre che un valido sostituto della psicoterapia. Almeno per come ne sfruttavano le potenzialità i Greci.

La ricetta è semplice semplice e ha garantito non solo capolavori immortali della letteratura, ma anche terapie di gruppo di grande efficacia sociale. E individuale. In sostanza, le devianze, i tabu, le pulsioni nascoste che in genere atterriscono venivano fatte emergere attraverso temi mitologici, insieme così lontani e così vicini all’esperienza umana: e, attraverso quei temi, il teatro rappresentava, come spiegò Aristotele, una speciale “catarsi”, ossia un processo di purificazione allo stesso tempo collettivo e individuale. Le emozioni negative “finte”, provocate dall’arte drammatica, aiutavano gli spettatori ad allontanare le pulsioni “vere”, quelle più inconfessabili e nascoste nei recessi dell’animo. E l’immedesimarsi nei protagonisti era un imperativo categoria per fruire dell’efficacia terapeutica di tale esperimento “socio-psico-artistico”.

Del resto, riferendosi proprio alla tragedia, il sofista Gorgia affermava che il più saggio è proprio chi si lascia ingannare dalla finzione scenica.

Una curiosità: anche “manicomio” è una parola greca. Ma i Greci – come notano Celi e Santangelo in “Mai stati meglio” (Utet), un bel libro sulle proprietà terapeutiche della storia – non ne ebbero mai bisogno: anzi, si narra che lo stesso Sofocle, accusato di pazzia dai suoi figli interessati al suo ricco patrimonio, fu assolto dopo che in dibattimento recitò i versi dell’”Edipo a Colono”, “convincendo i giudici che l’autore di un simile capolavoro era molto più sano di mente dei suoi figli”. Come non essere d’accordo?

 

 

27-12-2014 | 13:12