La scrittura emerge dalla vita
Doris Lessing non è una scrittrice femminista. Doris Lessing è molto più di una scrittrice femminista. Lo ha ribadito lei stessa più volte. Eppure, alla sua morte, giornali e telegiornali di tutto il mondo annunciavano la scomparsa della “scrittrice femminista premio Nobel”. Anche la motivazione del Nobel, infatti, rimarcava l’aspetto femminile-femminista della sua scrittura: “Cantrice dell'esperienza femminile che con scetticismo, passione e potere visionario ha messo sotto esame una civiltà divisa”. Ma anche il termine “cantrice” sembra fare l’ennesimo torto alla scrittrice: l’espressione originale infatti era “epicist of the female experience”, ossia “scrittrice di epica”, “scrittrice che ha dato voce all’epica dell’esperienza femminile”; ben diverso, dunque, dal romantico e forse troppo sentimentale “cantrice”. Colei che scrive l’epica dell’esperienza femminile non si limita a cantare quest’ultima ma a “narrarne” e a ricrearne le imprese e le gesta attraverso la parola: il termine epico, infatti, deriva dal greco epos che significa innanzitutto “parola”, ma anche “discorso” e “racconto”.
E l’ossessione di Lessing per la parola, a partire dal suo capolavoro The Golden Notebook, era totalizzante: “Parole. Parole. Faccio giochi con le parole, sperando che una qualsiasi combinazione, anche la più casuale, riesca a esprimere ciò che voglio”. Attraverso le parole, Lessing cerca di dare voce alla sua vita, agli eventi che hanno formato una personalità difficile da circoscrivere e difficile da etichettare, frutto di una immaginazione fervida e sfaccettata e di un’attività coscienziale incessante e laboriosa. Per lei il rapporto arte/vita era di totale aderenza: “Scrivere non è un modo di vivere – la parte più importante della scrittura è la vita. Bisogna vivere in modo tale da far emergere la scrittura dalla vita stessa”. E la sua scrittura, prolifica e poliedrica, è sempre intrisa di vita, di vita vera, sognata, immaginata o ricordata, ma sempre di vita pulsante e palpabile agli occhi e ai sensi del lettore. E non si tratta solo di donne, nell’accezione femminista (“Qualcosa dovevano pur dire”, disse a proposito della motivazione del Nobel, dopo aver rifiutato più e più volte l’etichetta di femminista: “Veramente le femministe vogliono che si facciano affermazioni tanto semplificate sugli uomini e sulle donne? In effetti, lo vogliono davvero. Sono arrivata con grande rammarico a questa conclusione”) ma di donne che vivono a contatto con gli uomini, che sono “uomini” esse stesse nella loro femminilità, che superano cioè gli ingabbiamenti socio-politici legati al gender grazie alla loro forza interiore e alla ferma volontà di tuffarsi nel vortice dell’esperienza vissuta. I suoi romanzi trattano di temi estremamente diversificati, tutti però volti a denunciare tali pericolosi ingabbiamenti, come nell’idea alla base di The Golden Notebook, secondo la quale “dividere e compartimentalizzare la vita è pericoloso e non può che portare guai”. Nella sua ricerca stilistica e letteraria è il rapporto tra la vita e la sua ricreazione a prendere il sopravvento.
Come si può ricreare la vita con le parole? Come fermare i ricordi di infanzia? Perché i brutti ricordi sono più incisivi di quelli belli? Perché certe cose cambiano nella nostra percezione col passare del tempo e col mutare degli spazi? E certamente non ci sono risposte, né è sua intenzione fornirne: è sufficiente esprimere certi concetti attraverso la narrazione per soffermarsi su di essi e per riflettere, giungendo così a una conclusione nel momento presente, sempre confutabile e cangiante così come cangianti sono la vita e la coscienza umane: “Dire o non dire la verità è un problema minore rispetto a quello del cambiamento di prospettiva, poiché vediamo la vita in modo diverso in momenti diversi. Come scalare una montagna mentre il paesaggio cambia ad ogni curva nel percorso”. Il suo ultimo romanzo, Alfred e Emily, appare dunque come un testamento della sua missione di artista. Si tratta di un libro relativamente breve, i cui contenuti non sembrano però arginabili, così come le riflessioni che ne scaturiscono. Doris Lessing presenta i suoi genitori in due storie diverse ma parallele, da due punti di vista e attraverso due tecniche narrative: da un lato una storia filtrata attraverso l'immaginazione e le tecniche della fiction, e dall'altro la stessa storia descritta con la lucidità razionale e oggettiva del biografo che seleziona e presenta al pubblico, in modo imparziale, gli eventi più significativi della vita di un personaggio.
Nel caso di Lessing, tuttavia, non si può distinguere nettamente tra narrazione impersonale e fiction avulsa dal reale. Quello dell'interpenetrazione dei due fattori è, infatti, un tema che l'autrice aveva già vigorosamente sviscerato nelle sue sperimentazioni nel genere (o "non genere") autobiografico, giungendo, in questo libro, alla giustapposizione dei due approcci estetici al fine di scandagliarne gli elementi costitutivi e i rapporti di reciproca influenza, e per rimetterne in discussione gli assunti tradizionali. Nella prima parte l'autrice scrive una storia fittizia sui suoi genitori, immaginando una vita parallela non turbata dalle guerre mondiali. I personaggi vivono così episodi che non trovano il corrispettivo nella realtà e, tuttavia, la narrazione rivela i loro veri "toni di voce e sospiri", coglie "tracce lievi come quelle che seguono i cacciatori" e ne ricava un vibrante ritratto psicologico. Segue poi un interludio in cui viene spiegato l'intento narrativo e, successivamente, una seconda parte in cui si racconta la vera vicenda attraverso le mutevoli memorie dell'autrice. Il libro presenta classiche opposizioni binarie che dimostrano però la loro continua ambivalenza: biografia e autobiografia, fiction e realtà, memoir e romanzo, narrazione oggettiva e soggettiva, autenticità e arbitrarietà del self. Tutte si mescolano le une alle altre dando vita a imprevedibili processi di ibridazione che minano le certezze del lettore e ampliano il suo punto di vista interpretativo, la sua capacità di giudizio e la comprensione dell'arte, caleidoscopica, della scrittura.