La sorgente del nostro essere
La sorgente è il senso profondo del nostro essere. Il punto di partenza e insieme la meta a cui siamo fatalmente, tenacemente preordinati. E così il paesaggio primigenio dei luoghi cari corrisponde alle nostre radici profonde ed è innanzitutto geografia dell’anima.
Seguendo un coerente percorso di nitida ricerca stilistica e di esplorazione coraggiosa e urgente delle proprie radici, il poeta parmigiano Guido Cavalli, classe 1974, già autore delle raccolte <Piccolo canzoniere selvatico> (Manni Editori) e <Nel castagneto> (Diabasis), ritorna sugli scaffali riprendendo un sentiero ininterrotto. Ossia, il recupero della dimensione primigenia della natura, letta in chiave autobiografica. E ora propone, ancora per Manni, nell’ambito della collana “Pretesti”, a cura di Maria Grazia D’Oria, la nuova raccolta, intitolata evocativamente <Salita al Lago Padre>. Cavalli sembra in questo modo porsi consapevolmente come epigono di una lunga, complessa, ricchissima tradizione parmigiana (da Attilio Bertolucci a Pier Luigi Bacchini), che della natura fa un fulcro di riflessione sorprendente, capace di dire molto sul fluire e sull’apparire, ma anche sulle magie di questo macrocosmo eterno che è insieme microcosmo del momento, effimero e fuggente, resistente al tempo soltanto nel riecheggiare della memoria e della poesia che la eterna.
Il cammino di Cavalli è scandito da dodici egloghe, ossia da dodici dialoghi in versi. Tra eco degli avi e percezione della natura, senso di perdita e destino, emerge l’urgenza, quasi rituale, del ritorno, un andare a ritroso che è anche un pro-gredire, un avanzare nel drammatico scandagliare il proprio “io”. I luoghi sono quelli noti, consueti e i versi tornano a celebrarli. <Da un incontro nel bosco> a <Vestana>. Senza dimenticare la dimensione animale, che diventa fortemente simbolica e rituale, da <Il ragazzo cervo> a <Il maestro volpe>.
Ma che cos’è la memoria in Cavalli? Una dimensione decisamente sfuggente:
Ma la nostra memoria non conosce
che il principio e la fine, il prima e il dopo,
ciò che sta nel vincolo del presente
e allora sembra vuoto il nostro tempo
d’avvento, invece è soltanto il passato
che lentamente prepara le cose a durare
questo silenzio.
Una domanda allora s’impone: al netto delle reminiscenze e delle suggestioni autobiografiche, delle risonanze dell’animo e delle emozioni inattese, che cosa rappresenta in fondo il Lago Padre, una delle sorgenti appenniniche del torrente Parma? Una dimensione (e una percezione) insieme reale e simbolica, concreta e metaforica. Scrive Cavalli a tale proposito: “E’ questo, una torbiera, il Lago Padre, / un campo di canne stretto tra ripide / pareti, sempre imbevuto di acque / che dalle cime alte intorno scendono / nella roccia al disgelo delle nevi”. La vetta è l’origine, dove l’acqua vivificante non può mai venire meno: “Così non si prosciuga la sorgente / e chiusa dietro la fronte del monte / anche durante il sonno estivo, quando / tanto forte è il dominio della morte / che ogni cosa diviene apparenza, / disseta chi è salito fino in cima”.
Le parole possono essere radici profonde e profondamente intrise dell’acqua di un lago, come il Lago Padre, o ancorate alla terra, come la terra selvatica e antica dell’Appennino. Anche per questo le parole chiave del percorso poetico di Guido Cavalli sembrano essere appartenenza, memoria, identità. E così, ancora una volta, ma non senza sorprese, la natura diventa la chiave di lettura di questo viaggio, destinato certamente ad approdare ad altri paesaggi. Ad altri vie, antiche eppure sempre nuove, vivificanti di memorie e di senso. Ad altri versi. Densi sempre di urgenza