La spending review di Francesco
“Signori e Signore, grazie a tutti di aver partecipato. Ma per motivi di forza maggiore siamo costretti a chiudere. Da quella parte è l’uscita, vi preghiamo cortesemente di accomodarvi”. Ammesso e non concesso che vi sia ancora un uditorio a cui rivolgersi queste parole risuonano sempre più spesso in mezza Europa e un po’ in tutto il mondo. Stavolta la crisi, quella economica, centra poco e a chiudere non sono uffici o negozi; il pubblico che cortesemente si accompagna all’uscita non è quello di un vecchio cinema di provincia. A chiudere sono chiese cristiane di ogni confessione, luoghi di culto spesso vecchi di secoli, oggi rimaste sguarnite di fedeli ma cariche di spese e di debiti.
Numeri alla mano la crisi coinvolge soprattutto il vecchio continente e gli Stati Uniti: nel cuore dell’Europa, per esempio, la diocesi di Utrecht ha visto un crollo di diciottomila fedeli l’anno con un record negativo nel 2010 di ventitremila addii. Le parrocchie si adeguano alla tendenza e in pochi anni sono passate da 326 a 49. E se i fedeli calano non aumentano di certo i sacerdoti. Nei Paesi Bassi per esempio nel 1958 l’ordine dei frati Agostiniani poteva contare su 380 frati. Oggi sono solo 39 e quello più giovane ha settant’anni. In tutta Europa, dicono i dati dell’Annuario Pontificio, i seminaristi sono diminuiti del 13% in sei anni mentre i sacerdoti sono diminuiti del 6%. “Prima del 2020 sarà chiuso un terzo delle chiese ora aperte al culto. Il motivo è che non ci sono mezzi finanziari né (soprattutto) cattolici” ha detto allarmato il cardinale di Utrecht Willem Jacobus Eijk.
La crisi riguarda tutte le confessioni cristiane in particolar modo quelle protestanti. Circa venti chiese vengono chiuse ogni anno in Inghilterra. Più o meno duecento sono quelle finora abbandonate o semi-abbandonate in Danimarca. Ma nei Paesi Bassi la tendenza a chiudere è più forte che altrove. Secondo una stima dei capi della Chiesa cattolica olandese, due terzi delle 1.600 chiese saranno dismesse nel giro di dieci anni mentre 700 chiese olandesi protestanti dovrebbero chiudere entro i prossimi quattro anni. Non ci sono più i fedeli: i protestanti d’Olanda erano il 35,9% della popolazione nel 1971, mentre nel 2010 sono scesi al 15,6; i cattolici nello stesso anno sono passati dal 40,4 al 24,5. Nel 2004 le tre principali denominazioni protestanti si unirono (calvinisti ortodossi, calvinisti moderati, luterani) e i fedeli erano oltre due milioni e 400 mila. Oggi ne restano meno di un milione e 800 mila. Stesso discorso vale per la Germania: Tra il 2006 e il 2011 il numero dei cristiani è sceso di circa due milioni e 150.000 persone e la loro quota sul totale della popolazione è passata dal 63,7 al 61,5%. Il numero dei fedeli della Chiesa protestante è diminuito di quasi un milione e mezzo in cinque anni, scendendo a 23,6 milioni nel 2011, mentre nello stesso periodo il numero dei cattolici si è ridotto di circa un milione e 200.000, fermandosi a quasi 24,5 milioni. Tra il 2010 e il 2011, invece, la Chiesa protestante ha perso circa 276.000 fedeli, contro i 178.000 della Chiesa cattolica.
Se solo per un attimo si vuole tralasciare il problema di abbandono della fede ne esiste un altro di squisito sapore urbanistico. Che farne delle centinaia di edifici, una volta adibiti al culto, ora abbandonati? Nella maggior parte dei casi rimangono di proprietà della chiesa di appartenenza e vengono riconvertiti ad uso, per così dire, sociale: locali di ritrovo, sale da biliardo o piste per skateboard come la Arnhem Skate Hall in Olanda, dove tra un vecchio organo e una statua di Gesù ormai in disuso, poi far correre la tavola a ritmo di musica pop. Sotto lo sguardo serafico del parroco.
Altri ancora vengono semplicemente venduti al miglior offerente e non di rado si possono trovare on-line appartamenti in vendita ricavati nei locali di vecchie chiese come per esempio a Utrecht, dove va molto di moda comprasi due stanze in quella che una volta era l’antica chiesa di San Jacobus.
Ma per concludere, come vanno le cose nella cattolicissima Italia? In maniera meno preoccupante, ma i sintomi della crisi ci sono tutti, tanto che anche il Vaticano se ne è accorto e il Papa ha cominciato a prendere provvedimenti. “Il fenomeno è presente anche in Italia seppur in modo certamente meno rilevante che in altri Paesi d’Europa. Di positivo – ammette Mons. Stefano Russo, direttore dell’ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Cei – c’è il costante monitoraggio della situazione da parte della grande maggioranza delle diocesi e ciò si deve anche al forte carattere identitario degli edifici di culto e al legame, secolare, che si viene a generare con le persone che li vivono”. In Italia esistono 65.000 chiese di proprietà ecclesiastica all’interno delle 224 diocesi che coprono il territorio con oltre 25.500 parrocchie. Di queste la maggior parte sono ufficiate spesso una sola volta l’anno. Prima che il danno – soprattutto economico – sia irreparabile si sta correndo ai ripari. Con una drastica spending rewiew orchestrata dal Pontefice in persona.
Un gruppo di lavoro istituito presso la Conferenza episcopale e presieduto dall’arcivescovo metropolita di Potenza, Agostino Superbo, ha stabilito che in Italia sono una trentina le diocesi con meno di 100mila abitanti che presto potrebbero essere soppresse o accorpate. Il dossier è passato alla Congregazione dei Vescovi guidato dal cardinale Marc Ouellet. A breve potrebbero chiudere diocesi come Gubbio, Jesi, Urbino, Ischia, Sessa Aurunca, Ozieri, Lanusei. Al Santo Padre spetta ora l’ultima parola.