La velleità del brodo di tonno
Cappellotti di Parmigiano in brodo freddo di tonno, doppio malto e 7 spezie
Imàgo Hotel Hassler - Roma - Chef Francesco Apreda
Un’inflazione. Una persecuzione. Tanto ampia e velleitaria che, un po’ spinto da un’amica Wwf (in allarme per le sorti della bestia), un po’ perché stremato dall’overdose di tartare, carpacci, filetti debordante ovunque, dal locale chic al casotto sull’ultima spiaggia, avevo convinto alcuni cuochi illuminati (e noti) a rinunciare per un po’ a servirlo, dicendolo in carta con la formula: “Tonno subito: ma per un anno non ci sono”. È stato bello, dunque, farci pace. Riconciliarsi col tonno, che di suo – poverino – non aveva colpa. E per di più scoprire, alla faccia di sfilettatori e “tartari” vari, che la miglior tuna’s version d’Italia è liquida. Brodo di tonno. Scintillante risultato d’import esperienziale dall’Oriente a cura di Francesco Apreda, cuoco sotto le stelle e davanti alla magic view dell’Imàgo nato a Napoli, cresciuto a Londra, decollato a Roma, ma maturato operando a raffica tra Giappone e India. Il suo “tonno” è rifinita sintesi tra italianità profonda e complessità di cultura aliena; e tra il freddissimo (“finito” con birra doppio malto gelata!) del brodo e i caldissimi cappellotti “semplicemente” ripieni di crema di Parmigiano. Il brodo parte invece da alga kombu infusa a freddo cui sul fuoco s’uniscono shitake e tonno secco katsuobushi, e fuori fuoco mirin, sakè, soia e il gelo birresco. Nel suo abbraccio polare finiranno bollenti i cappellotti con cipollotti, fagiolini, il katsuobushi a lamelle e sichimi, le 7 spezie di Kyoto. Il risultato? Sorpresa no ending. Bomba di gusto bipolare, a due velocità (freddo/caldo) e dall’intensità moltiplicata: la profondità marina del tonno esoticamente resuscitata nel brodo e la familiare opulenza del Parmigiano ribadita, ma insieme riletta in luce e veste del tutto diverse.
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