La zanzara, Nietzsche e gli altri
Uno degli esseri più molesti esistenti in natura è, per l’uomo, non c’è alcun dubbio, la zanzara. Per un periodo dell’anno più o meno lungo (dipende dalle latitudini), lo assilla con l’unico apparente scopo di tormentare la sua pace. Lo punge senza farsi udire o vedere, turba impietosamente le sue placide sere d’estate, lo affligge nel momento più dolce della giornata, il dormiveglia, quando finalmente potrebbe affrancarsi dalla razionalità e dimenticare se stesso.
Forse, fra le piccole cose, non c’è esperienza più psicologicamente irritante che essere presi di mira da una zanzara scaltra e ostinata. Anche un uomo savio, allora, si trasforma in un insensato. Irrigidendosi, diviene improvvisamente vigile, guarda intorno a sé con atteggiamento grave, si muove in modo circospetto, fissa il vuoto roteando orribilmente gli occhi, percuote se stesso e le cose più prossime, batte inopinatamente le mani a mezz’aria… Talvolta è fortunato e riesce a sorprenderla e schiacciarla con maligna soddisfazione, talaltra, invece, è costretto a subire a lungo le sue astuzie, con il dubbio che più che ambire al suo sangue, essa voglia prendersi gioco di lui e della sua nevrotica impotenza.
In ogni tempo, a (quasi) ogni latitudine – sono presenti in tutte le otto ecozone della terra – gli uomini hanno avuto a che fare con le zanzare, sono stati punti, le hanno maledette. Ma nella trasfigurazione che l’uomo ha fatto della vita e della realtà, nella letteratura cioè, quale spazio è stato riservato alla zanzara? Quali sono le tracce che essa ha lasciato nell’opera dell’uomo?
La sua prima apparizione è attestata nell’opera di Esopo, il quale la eleva a protagonista di ben due favole, La zanzara e il toro e La zanzara e il leone, e a personaggio secondario di una terza, Il leone, Prometeo e l’elefante. Nella prima, Esopo racconta che una zanzara si posò sul corno di un toro e vi rimase per un po’. Quando decise di volare via chiese al toro se era contento che se ne andasse, il toro le rispose che non si era accorto di lei quando si era posata e non si sarebbe accorto di lei quando se ne sarebbe andata. La morale è che chiunque si sente il centro dell’universo, anche l’uomo insignificante. Più di due millenni dopo, Nietzsche scriverà (Verità e menzogna in senso extramorale), ampliando il concetto: «Se fosse per noi possibile comunicare con la zanzara, verremmo a scoprire che essa con lo stesso pàthos [dell’uomo, che considera il proprio intelletto cardine del tutto] nuota nell’aria dove si sente come il centro che vola di questo mondo».
La cita dunque Eschilo, in un passo dell’Agamennone, per bocca di Clitennestra, la quale, celando la brama di vendetta per il sacrificio della figlia Ifigenia compiuto dal marito allo scopo di propiziarsi la dea Artemide, gli dice, fingendosi moglie fedele: « […] e nei sogni balzavo/ al frusciare delle ali di una zanzara ronzante,/ vedendo affollartisi attorno più mali/ di quanti momenti nel sonno passassero».
Nel secondo libro delle sue Storie, Erodoto narra di come i popoli d’Egitto, dove abbondavano le zanzare, se ne difendessero. Quelli che abitavano lontano dalle paludi si rifugiavano sulla sommità delle torri, altezze alle quali, a causa del vento, non riuscivano a spingersi. Quelli che abitavano in basso, in prossimità delle acque stagnanti, per lo più pescatori, di notte si servivano delle stesse reti con cui di giorno pescavano, disponendole intorno ai loro giacigli come zanzariere, le prime di cui nella storia dell’uomo si abbia notizia, difendendosi così dagli insetti. Marquez invece, in Dell’amore e di altri demoni, racconta che gli uomini facevano fronte in un altro modo allo stesso problema: «Le paludi sprigionavano ogni sorta di bestiacce stordite dall’afa e raffiche di zanzare carnivore, e bisognava bruciare escrementi di vacca nelle camere da letto per metterle in fuga».
Virgilio intitola un’opera giovanile, contorta e involuta, da molti studiosi ritenuta apocrifa per questa ragione, Culex (Zanzara). In essa, un pastore, addormentatosi all’ombra di un albero, è svegliato dalla puntura di una zanzara che, subitamente, viene da lui uccisa. Il repentino risveglio gli permette tuttavia di vedere e sfuggire la serpe velenosa che sta per morderlo e così, grazie alla zanzara, riesce a scampare dal mortale pericolo. Alla zanzara poi, il pastore darà sepoltura e farà crescere su di essa i più bei fiori.
Nel libro dell’Esodo (8,13), con la terza delle dieci piaghe d’Egitto – com’è noto castighi inflitti da Dio agli Egizi affinché liberassero gli Israeliti dalla loro secolare schiavitù –, moltitudini di zanzare sorgono dal suolo e popolano l’aria: «[…] Aronne stese la mano con il bastone, colpì la polvere della terra e infierirono le zanzare sugli uomini e sulle bestie; tutta la polvere della terra si era mutata in zanzare in tutto l’Egitto».
Origene (Omelie sull’Esodo) paragona invece le zanzare all’arte dialettica, poiché come quelle, non viste, pungono e per qualche giorno producono fastidio, così questa: «[…] trafigge le anime con gli invisibili aculei delle parole e le insidia con tanta astuzia che chi è ingannato non vede né capisce da dove viene l’inganno».
Anche Dante la menziona (Inf. XXVI, 28), in un verso di senso temporale, come la mosca cede alla zanzara (non appena la sera prende il posto del giorno), all’interno di una delle sue illuminanti similitudini intesa a chiarire al lettore cosa vide quando si trovò davanti agli occhi l’ottava bolgia. È da segnalare che negli oltre quattordicimila versi di cui consta la Divina Commedia, la parola zanzara viene usata una e una sola volta, e costituisce dunque un hapax legomenon (dal greco “detto una sola volta”), ovvero un lemma di cui è attestato un solo esempio in un’opera letteraria o in una letteratura. La zanzara è in buona compagnia, poiché uno degli altri hapax della Divina Commedia è la parola Dante (Purg. XXX, 55).
La rassegna delle citazioni potrebbe continuare, non molto a lungo a dire il vero, con Meleagro, Poliziano (in un epigramma paragona le zanzare a Venere, poiché come la dea nascono dall’acqua), Shakespeare, Leopardi, Salgari, Montale, Conrad, Faulkner ecc… ma mi limiterò a riportare un brano di Landolfi, uno dei maestri della nostra lingua, il quale, in uno dei suoi immaginosi appunti di viaggio pubblicati da Adelphi una ventina d’anni fa (Una notte a Rovigo), racconta di avere deciso di trascorrere una notte nella tranquilla città di Rovigo. In albergo, dopo aver fatto una serena passeggiata e cenato, mentre sta per addormentarsi e «dare il gambetto alla sempre faticosa coscienza», non riesce a prendere sonno per l’improvviso frastuono prodotto da un gran macchinario. Quando questo cessa e può finalmente abbandonarsi all’oblio, però: «un altro sibilo mi percorse gli orecchi ormai non più tappati, facendomi sobbalzare. Lo conoscevo bene, era il canto di caccia della piccola nemica che, non contenta di succhiarci il sangue, ci dà intollerabili prurigini e psichici smarrimenti, che rinfocola il nostro latente delirio di persecuzione ed estenua le nostre già vacillanti attitudini all’esistenza, dico la zanzara. E sapevo anche, per lungo esperimento, quanto essa sia scaltra e come sappia rendersi invisibile o irraggiungibile all’offesa, cioè alla difesa». Non chiuderà occhio per tutta la notte e sarà contento, al mattino, di lasciare la città.
L’essere umano, fatto di materia e spirito, posto nell’ordine delle cose tra la terra e il cielo, rinnega facilmente la parte sublime della sua natura quando una zanzara mette a repentaglio la sua quiete, e in pochi istanti diviene più irrazionale della zanzara stessa. Interpretando il mondo in modo finalistico e antropocentrico, si potrebbe pensare che le zanzare abbiano proprio il compito di rammentargli la sua imperfezione e di metterlo alla prova.