L'orgoglio di Davide contro la forza di Golia

“Noi – disse Pericle nel celebre Discorso agli Ateniesi (461) - siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo”. E poi aggiunse anche: “Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore”.

Quando, trent’anni prima, esattamente nel 491 a.C., il Gran Re dei Persiani, Dario, inviò una nutrita pattuglia di ambasciatori ai Greci, chiedendo loro di diventare suoi sudditi, diverse città elleniche accettarono di sottomettersi, memori probabilmente del sangue inutilmente versato dalle città ioniche, dopo l’insurrezione del 500 a.C. Ma ci furono due eccezioni significative: Atene e Sparta uccisero gli ambasciatori senza alcun riguardo. E senza alcun timore. Atene non era nuova a provocazioni antipersiane (nel 500 insieme a Eretria, piccolo centro dell’Eubea, aveva avuto l’ardire di soccorrere gli Ioni). E anche Sparta non esitò a dichiarare guerra. Così Dario e poi Serse decisero di schiacciare le due città con una forza d’urto mai vista prima: scoppiarono, a una decina d’anni di distanza l’una dall’altra, le due Guerre Persiane, su cui tanta letteratura e altrettanta cinematografia hanno favoleggiato (chi non ricorda l’eroico sacrifici dei Trecento delle Termopili?).

Ma i numeri della storia dicono qualcosa di più e di incredibile: un manipolo di uomini si oppose e anzi (stra)vinse contro il più imponente degli eserciti che, a memoria d’uomo, fosse allora mai stato allestito. Erodoto afferma che, nella Prima guerra, la flotta persiana era costituita da 600 triremi; alcuni storici antichi parlano inoltre di 200mila fanti e 10mila cavalieri al servizio del Gran Re (Cornelio Nepote); nella Seconda guerra persiana, alcune fonti antiche arrivano a stimare addirittura in 4 milioni di unità le forze del re Serse, succeduto a Dario, con l’aggiunta di migliaia di navi. Cifre inverosimili, certo, che probabilmente facevano parte di un tentativo di propaganda. E gli Ateniesi? E gli Spartani? Sulla carta non c’era proprio partita. Due cittadine contro un impero. Davide contro Golia. Ma alla fine i Greci ebbero la meglio, punendo la presunzione del Gran Re. Il loro segreto? L’ingegno, certo. Ma soprattutto un esercito di cittadini, non una massa informe di sudditi come i Persiani. Cittadini abili sul piano militare ma soprattutto attaccati tenacemente alla loro libertà fino ad accettare l’ipotesi di un possibile suicidio collettivo.

Ora, passati 2500 anni, in una condizione storica ben diversa, nella quale né la vita né la libertà sono fortunatamente più a rischio, a molti sarà venuto in mente in questi giorni come siano passati i secoli ma non sia mutato l’orgoglio greco. Un orgoglio innanzitutto di cittadini che mettono la democrazia e la libertà sopra ogni altro bene. E non importa se i governanti di oggi non sono certo all’altezza di quelli di ieri; non importa se gran parte delle colpe per cui la Grecia si trova in questa situazione deve essere cercata dentro (e non fuori) i suoi confini; non importa nemmeno se oggi il Gran Re, con il suo esercito infinito, assume sembianze sfuggenti di istituzioni internazionali tanto (in apparenza) generose quanto (di fatto) insidiose, al punto che in realtà stanno sostituendosi in modo subliminale al primato delle democrazie (in questo così come in altri casi). E allora le urne di domenica saranno (comunque vada) un momento liberatorio per uno Stato ormai spremuto come un limone, che ha perso (quasi) tutto ma non il suo orgoglio.

Perciò quell’insegnamento di 2500 anni fa non va sottovalutato: se è in gioco la lotta per la dignità i greci (di ieri, come di oggi) non si tirano indietro. Anzi. Sono pronti ad affrontare il rischio di uno spettacolare suicidio collettivo (oggi, almeno, “solo” economico-finanziario), piuttosto che una morte lenta e oscura, sudditi di un Gran Re lontano.

 

 

03-07-2015 | 12:02