Perché abbiamo paura del lupo?
Greggi devastate, cani dilaniati, agricoltori sul piede di guerra: le cronache ci dicono che, in varie zone d’Italia, ritorna la paura del lupo. E persino il cinema, con il suggestivo “The Gray” di Liam Neeson, ha riacceso questo incubo antico per l’uomo. Essere totemico per eccellenza, il lupo dà corpo alle inquietudini delle società primitive e rappresenta, per certi aspetti, un equivalente di ciò che è il “diavolo” nell’immaginario collettivo moderno.
Evocarlo, quindi, significa materializzarlo. Non è un caso se il proverbio latino Lupus in fabula viene ripreso concettualmente nel nostro “Parli del diavolo e spuntano le corna”, mentre ancora nel francese contemporaneo esiste un equivalente: “Si parla del lupo e se ne vede la coda”. Dietro questo incubo, si costruisce la mitologia inesauribile della licantropia, che, dalla letteratura al cinema, fino alla tv, rappresenta una continua fonte di ispirazione e di rielaborazione. Lo dimostra, ad esempio, il successo della serie “Teen Wolf”, che riprende un fortunato film degli anni Ottanta, “Voglia di vincere”, e testimonia la sorprendente capacità di rigenerarsi di questo nucleo narrativo.
Le origini di tale “mitologia”? Non vanno cercata molto lontano da noi. Anzi. L’autentico contesto in cui nasce la licantropia non sono le selve dei monti, bensì quella foresta misteriosa (e spesso inesplorata) che è la nostra testa. Le radici della credenza sono da ricercare in una malattia mentale, tipica delle società arcaiche e oggi largamente superata, che è assimilabile alla demenza precoce. Chi ne è affetto, crede di trasformarsi nell’animale e ne imita i comportamenti. In Occidente c’era il lupo, in Oriente la tigre: l’effetto però era lo stesso. Non solo: vestirsi della pelle di lupo, secondo antiche credenze, metteva in contatto con le forze della natura e conferiva una forza ultraumana.
Il vero lupo, insomma, si muove famelico nel labirinto della nostra testa, pronto a scattare contro i nostri simili, come spiegava Hobbes. Perché, ancora una volta, l’inferno, il nostro inferno, siamo noi.