Pompei proibita
Chi è stato a Pompei, ricorderà certamente i vari lupanari: i bordelli, che costituiscono un tassello fondamentale del mosaico urbano. Ma forse pochi, a parte studiosi e altri addetti ai lavori, conoscono il copioso patrimonio di scritte, più o meno trasgressive e provocatorie, che popolano questi così come altri luoghi della città.
Che cosa nasconde dunque la Pompei “proibita”? Un patrimonio di vibrante, sensuale quotidianità: sorprendente, per chi è abituato a idealizzare il mondo antico, levando a esso carne e sangue; molto meno spiazzante, per chi non è disposto a cadere in questa trappola ed è magari anche solito imbattersi quotidianamente nelle scritte sui muri o alle fermate della metro.
Innanzitutto, onnipresente, il mondo della prostituzione: accessibile a tutti, anche alla plebe squattrinata. Certo, ieri come oggi, c’erano prostitute e prostitute: le meretrici suburbane, che facevano la vita nelle zone dei cimiteri e si accontentavano di qualche spicciolo; ma anche le professioniste di alto bordo, che pretendevano molto, anche se in genere restavano entro limiti piuttosto ragionevoli.
Ad esempio, una certa Felix (traduzione incerta: Felicia? O forse era un ragazzo, Felice?), come testimonia un graffito superstite inciso su un sepolcro,offriva prestazioni orali ai clienti per un solo asse. Un prezzo decisamente alla portata di tutte le tasche: solo per avere un parametro di riferimento, basti sapere che un litro di vino costava mediamente due assi.
Euplia, invece, era una escort di gran classe e i muri di Pompei sono pieni di riferimenti alla sua fama, che la donna sapeva monetizzare con una certa abilità. E infatti di assi ne chiedeva ben cinque. Del resto, lo stesso nome aveva un sapore esotico e certo doveva promettere molto: Euplia (“che sa ben navigare”) era un epiteto riferito niente meno che a Venere, la dea dell’amore. Anche su di lei, d’altra parte, non mancano le lamentele di qualche cliente insoddisfatto.
Solo donne? No di certo. Non mancavano i ragazzi che si vendevano alle signore: e per una prestazione orale, descritta con prosaica incisività sui muri pompeiani, Glicone e Marittimo chiedevano dai due ai quattro assi (si accettavano anche le vergini, come si affretta a specificare un annuncio). Insomma, i prezzi dei maschi erano in media comparabili con quelli delle femmine. Anche se le prestazioni di un certo Floro, che, a differenza di Glicone e Marittimo, offriva rapporti omosessuali, pare che costassero ben dieci assi. Un record.
Oltre alle tariffe, leggiamo molto altro: suggerimenti ai clienti (talvolta invitati a contenere la propria focosità per non fare male e arrecare danni alle ragazze), rivendicazioni orgogliose di doti e prodezze amatorie (una specie di machismo ante litteram), annotazioni attraverso cui alcuni uomini desideravano lasciare il ricordo di notti memorabili, magari trascorse in compagnia con amici. E, tra le vie di Pompei, non mancavano nemmeno gli sberleffi tra rivali che si contendevano la stessa donna.
In queste iscrizioni, non c’è (ancora) percezione del peccato o pruderie, come sarebbe avvenuto in secoli successivi. Scritte oscene? Certamente sì. Perché “osceno” è, appunto, quello che sta fuori dalla scena e deve rimanere nascosto. Oggi come ieri. Ma sappiamo che esiste. E fa parte dei sotterranei della nostra umanità. Proprio come certe gallerie buie delle metropolitane.