Quando Carlo si scoprì tenore
A sedici anni assiste al Trovatore nel teatro di Busseto: affascinato dal personaggio di Manrico, iI giorno dopo, con una padella in testa e in mano un attizzatoio come brando, cantava a squarciagola Di quella pira. Nella sua ingenuità era il segno di una vocazione. Ha studiato dapprima col baritono Edmondo Grandini e in seguito al Conservatorio di Parma con Ettore Campogalliani, celebrato istruttore.
Ma fu lavorando da solo sulla propria voce che scoprì di essere tenore. Storia ormai conosciuta da tutti, storia memorabile di questo fenomeno che si educò alla parola e al canto con sincerità, umiltà e singolare perspicacia. Le stesse qualità che rivelava la sua natura umana, schietta ma tutt’altro che disarmata, pacata e pronta insieme a scattare dalla bonaria bonomia alle pungenti sortite.
Mi sembra bello ricordare che ci ha lasciato nello stesso mese e a pochi giorni da quel 21 giugno quando era nato, a Vidalenzo, pochi chilometri da Busseto e da Sant’Agata, terre fatalmente compromesse dal passaggio di un musicista drammaturgo di valore ineguagliabile. Non poteva capitare meglio di così il Maestro Carlo, che a pieni polmoni respirò quell’aria, non sempre aromatica, ma tonificante e nutritiva, l’aria delle coltivazioni e degli allevamenti della quale si giovò il linguaggio del melodramma verdiano.
Respirò e imparò a respirare sempre meglio, a tutto vantaggio di quella tenace e mobile capacità del canto “sul fiato” di cui andò giustamente orgoglioso nell’interpretazione e nell’insegnamento. Galleggiare sul fiato, vincere ogni forza di gravità che trattenga e sforzi la voce, galleggiare nel suono, navigare sempre più liberi e sicuri il linguaggio della musica. Ogni molecola d’aria contiene la nota che unendosi alle altre porta collane di melodia.
Assistendo alle sue lezioni nell’Accademia di canto a Busseto, ho imparato quanto valga il respiro anche nella scrittura letteraria. Nel mio mestiere è molto facile farfugliare parlando o incespicare scrivendo per mancanza di adeguata respirazione: e non poca letteratura di oggi lo dimostra. Gli esempi del Maestro avrebbero liberato dal cattivo affanno non soltanto i cantanti.
Una ragione in più perché l’ascolto della sua voce debba giudicarsi un dono e continui a esserlo nei surrogati delle registrazioni, oltre che nella memoria di chi ebbe la fortuna di goderne dal vivo.