Ricordo di un'estate da ragazzi
In questi giorni di selvaggia calura è facile lasciarsi andare ai ricordi che scivolano languidi nelle goccioline di sudore, mentre una sorta di dormiveglia ci precipita nel come eravamo e nel come siamo sopravvissuti a temperature ben più toste di queste. Quando con gli occhi socchiusi, da una postazione sapientemente studiata per far fronte al caldo, osserviamo adolescenti rincorrersi, magari impavidi e incuranti del sole allo zenit con uno zaino in spalla, la nostalgia può gelare per un attimo le nostre membra incandescenti. Perché l’estate per i ragazzi è una cosa speciale, una sorta di divinità panica che anima i giovani corpi e le verdi menti come un elisir miracoloso, capace di farti credere che il mondo è lì, semplicemente a un passo dalla tua incerta presa, e il caldo mentre sogni nemmeno lo sentì.
L'8 agosto 1986, esattamente trentuno anni fa, usciva nelle sale "Stand by me", un film diretto da Rob Reiner basato sul racconto di Stephen King "The body". Per gli adolescenti dell'epoca fu un film importante, emozionante, per più di un motivo. Il fatto che fosse basato su un racconto di King, scrittore cult del momento, lo rendeva da subito prezioso e la presenza nel cast di River Phoenix, attore tanto talentuoso quanto controverso (morto solo sette anni dopo in circostanze grottesche), imperdibile. Chi ha avuto la fortuna di essere un ragazzino almeno trent’anni fa, quando l’estate era spesso un tempo di noia sana, da farcire di cose tanto banali quanto preziosissime, avrà amato certamente la storia di questi quattro ragazzini di dodici anni che diventano grandi in quarantott’ore, nella calda estate del loro addio.
A narrarla è il protagonista, Goerdie, sopravvissuto a un fratello che morendo si è portato via l’attenzione e l’affetto dei suoi genitori e rifugiato in una famiglia di elezione composta da tre amici, ognuno a modo suo in “regime di resistenza” al destino familiare toccato in sorte. Storia più comune di quanto si creda, con la differenza che oggi alla solitudine esistenziale spesso i più giovani non rimediano con un mondo esterno fatto di relazioni importanti, ma rifugiandosi una psicopatia da virtuale, ritrovandosi forse parecchio più soli di un un tempo.
In un pomeriggio torrido del 1956, nella piccola cittadina di Caste Rock, Oregon, i protagonisti della nostra storia diranno invece addio all’infanzia e metteranno i primi passi verso la loro vita di adulti tenendosi per mano tra i sentieri di un bosco, dal quale torneranno profondamente cambiati.
"Eravamo stati via solo due giorni, eppure la città sembrava diversa. Più piccola”.
Quando i condizionatori erano lussi per pochi, nei mesi estivi si cercava l'ombra, il vento, gli alberi, dribblando case abbandonate, pozzi, pericoli come binari incustoditi e strade non illuminate. Si usciva alle 9 del mattino per tornare col buio e rispondere "niente" quando ti chiedevano che avessi fatto e "da nessuna parte" alla domanda su dove fossi stato. Si giocava agli adulti senza chiedere il permesso e con un’idea di questi ultimi più simile a un fumetto di super eroi che alla, mediamente, ben meno emozionante realtà. E c’era l’amico folle, che salvavi dalle stronzate sapendo che saresti passato per noioso, quello che stava zitto ma tu conoscevi il suo cuore, quello che a casa più tardi ci tornava e meglio era perché gliele daranno, e forte.
Così i protagonisti di questo racconto d’estate, che con la scusa di cercare un cadavere nel bosco trovano se stessi, grazie alla presenza di ognuno. "Era tutto perfetto. Conoscevamo perfettamente noi stessi e sapevamo perfettamente quello che volevamo. Era un momento magico”. Volersi bene in quel modo, facendo una corsa insieme e sperando di vincere mentre ci auguriamo che il nostro amico non perda.
La tristezza che prende quando si è piccoli è paralizzante e avere degli amici veri, che gridano, ti menano e puzzano, fa muovere da quel buco li, dove purtroppo si ritorna sempre perché ci si incastra al primo cedimento, alla prima stanchezza, alla prima solitudine.
L'amico che crede in te, che sogna con te, che è felice se ce la fai. L’amico che ti dice “stand by me” senza proferire parola, magari anche di spalle mentre trattiene le ultime, meravigliose, lacrime di bambino.
Cast, colonna sonora e soggetto della storia ne fanno un piccolo tesoro da rivedere in questa estate così lontana dai racconti del bosco, vuoi per le foto dei piedi in acqua ovunque, vuoi per i troppi occhi incollati ai telefonini. Il senso di libertà delle mani libere, solo uno zainetto da aprire una volta seduti da qualche parte, nessun mondo virtuale a fare drin drin da nessuna parte, sono ricordi maledettamente nostalgici e che ci fanno apparire vecchi, però diamine, era magico davvero.
O forse è come sempre solo il ricordo che aggiusta le cose le rende migliori di quelle che erano. Non importa, stand by me di notte “a parlare di tutto ciò che sembra importante, finché non scopri le ragazze”.
Tu che sogni di andare in un posto dove nessuno ti conosce, l’altro che vuole essere un guerriero, quell’altro ancora che alla fine ha creduto a chi gli ha predetto una brutta fine. Struggente nel film in parallelo la storia dei ragazzi più piccoli e dei fratelli più grandi: gli uni, che si vede già cosa potranno essere, ma che nello stesso tempo possono ancora cambiare rotta. Gli altri, già irrimediabilmente segnati.
“Non ho mai più avuto amici, come quelli che avevo a dodici anni... Gesù, ma chi li ha?"
Approfittando del caldo, non aspettate un’altra estate e fatela quella telefonata.