Sognando Robin Williams

 
Una delle prime cose uno impara quando incomincia a scrivere è che con la prima persona bisogna andarci cauti. Cioè, non devi usarla praticamente mai, a meno che tu non abbia qualcosa di strettamente autobiografico e sufficientemente interessante da far conoscere. Bene, oggi è arrivata una grande occasione per me. Perché per parlare di Robin Williams me la posso permettere.
 
Era mio amico, è mio amico e lo sará per sempre. Sono cresciuta con il suo lavoro in sottofondo e, anche se non sempre ha lavorato per pellicole vicine al mio gusto, come interprete non mi ha mai delusa. Ha stupito sempre, ha sorpreso in ogni sequenza, è stato sempre lui eppure mai lo stesso, come solo i grandissimi riescono a fare.
 
Negli anni Ottanta giunse travestito da alieno con quelle strane mosse ed il suo "nano-nano" a regalare a noi bambini un assaggio di fantascienza casareccia e rassicurante. Lui, così diverso, così divertente, quando parlava col suo misterioso pianeta mi faceva da ninna nanna e mi prometteva che qualcosa di magico e misterioso puoi trovarlo sempre, anche dietro una vecchia televisione a manovella. E allora dormivo meglio e chissà quanti bambini a naso in su come me, ansiosi di scommettere che prima o poi la magia si sarebbe manifestata nelle nostre vite. Poi mi ha raccontato il Vietnam, lui, per primo.
 
I suoi occhi, nel capolavoro "Good morning Vietnam" di Barry Levinson, quando riposavano dalle gags incredibilmente esilaranti (tra l'altro quasi tutte improvvisate sul set), hanno raccontato il dolore, la desolazione e l'impotenza, come pochi altri nel cinema.
L'energia dei suoi monologhi, la capacità di modulare la sua voce e di offrire ritratti completi pur restando seduto con le cuffie, rappresenta per me uno dei momenti migliori del cinema americano di quegli anni.
 
Ne "L'attimo fuggente" di Peter Weir, con la sua interpretazione brillante e commovente ha scosso parecchi di noi ragazzi, ha avvicinato alla poesia i più insospettabili, personalmente mi ha fatto venir voglia di insegnare e, sì, di rovesciare qualche banco appena possibile.
Non dimentichiamo poi "Risvegli" e "Patch Adams", film in cui tutta la sua umanità eccezionale si manifesta e coinvolge oltremisura, trattando temi delicatissimi e non proprio facili.
 
Ma Robin, il mio amico Robin, è anche, tra gli altri, Peter Pan, Popeye, Mrs Doubtfire, Flubber: esilarante, divertente, entusiasma senza sosta, ti porta per mano in mondi fantastici che lui sembra conoscere bene, come fosse una creatura davvero proveniente da un'altra dimensione. Marito infedele e incostante, padre amorevole e assente, doveva essere terribile e irresistibile. Perlomeno, lo era per me.
 
Negli anni Novanta, mentre le mie amiche sospiravano (e come dar loro torto, all'epoca) per Johnny Deep, io di nascosto immaginavo di incontrare lui e di vivere una storia (d'amore o d'amicizia, con lui credo avrebbe fatto poca differenza) ai confini della realtà, fra voli e astronavi di cartone. Sogno inconfessabile, perché, diciamocelo, bello bello non era. Ma che fascino ragazzi, che charme, che testa.
 
Ero sicura che prima o poi ci saremmo incontrati e che lui mi avrebbe salutato con una parola d'ordine che io conoscevo, perché prima sarebbe venuto a sussurrarmela in classe, magistralmente travestito da bidello o da ragazzo del bar. Con questa parola d'ordine saremmo partiti per un viaggio incredibile, attraverso un varco visibile solo a noi e a chi questa parola la conosce. Ma, lo abbiamo detto, Robin Williams non è un tipo prevedibile. Ha deciso di partir solo, di andare avanti. Aveva fretta, o forse era troppo stanco.
 
Ad ogni modo, ancora una volta, non mi ha tradita. La parola d'ordine è venuto a dirmela stanotte, poco prima della sua partenza, seduto in mezzo ai miei bambini che dormivano e che forse sognavano i suoi stessi sogni. Rido, sorrido, mi manca e non finirò mai di ringraziarlo.
 
 
 
13-08-2014 | 00:38