Trevor, la scrittura come story-telling
Autore prolifico e pluripremiato William Trevor rappresenta una delle voci più significative della letteratura irlandese contemporanea. Non amava definirsi “scrittore” e preferiva descriversi come “story-teller”, un narratore di storie, allineandosi così a una tradizione popolare fortemente radicata nel patrimonio socio-culturale irlandese, in cui le storie hanno quella “capacità di entrare prepotentemente nelle conversazioni sia come forma di intrattenimento sia come comunicazione in senso stretto”. Anche per questo motivo affermò di sentirsi l’autore “meno sperimentale di tutti” – visto il carattere tradizionale delle sue “storie” – anche se, allo stesso tempo, ebbe a dichiarare che ogni tipo di scrittura “seria” è “sperimentale di natura”. Lo è perché ogni messaggio, ogni voce narrante, ogni personaggio e ogni evento richiede uno specifico tipo di linguaggio, una specifica sintassi e delle accuratissime scelte lessicali che contribuiscono alla continuità semantica di un testo originale. Per questo motivo – e anche grazie ai suoi studi di scultura e arti visive – paragona spesso la scrittura alle opere pittoriche, asserendo che “un romanzo è simile a un quadro del Rinascimento” mentre un racconto è “l’arte dello sguardo fugace”, simile a un quadro impressionista. Ma pensare che un quadro del Rinascimento sia un quadro tradizionale è chiaramente un paradosso, ed è proprio al Rinascimento che occorre pensare quando leggiamo le trame e gli eventi che Trevor scrive, il loro livello di sotterranea astrazione, il mutevole punto di vista e il cambiamento di prospettiva.
In questo senso, leggere Trevor ci riporta direttamente allo sperimentalismo occulto del primo Joyce di Dubliners in cuila prosa rivela un carattere di novità che va visto come il germe delle sperimentazioni successive più evidenti. Ogni parola è infatti scelta per il suo valore fonosimbolico con un’attenta calibratura delle metafore, delle onomatopee e di tutte quelle strategie retorico-stilistiche che contribuiscono a spingere il linguaggio verso soluzioni comunicative inaspettate e deviano dall’uso convenzionale e banalizzato delle parole.
L’influenza di Joyce è ammessa dallo stesso Trevor, il quale ha più volte dichiarato di non leggere troppo gli scrittori contemporanei ma di leggere e rileggere molte volte i grandi classici come Jane Austen, Dickens, George Eliot e Hemingway. Tuttavia, anche a causa delle comuni radici irlandesi, Joyce sembra essere una presenza costante sia nei suoi scritti sia nelle interviste. La storia “Two More Gallants” (“Altri due galanti”) è l’ideale continuazione di “Two Gallants” di Joyce; uno dei suoi primi romanzi si intitola The Boarding House (Pensione di Famiglia), proprio come il racconto di Joyce; e nel suo ultimo romanzo Love and Summer la protagonista Ellie cita espressamente Gabriel Conroy, protagonista di “The Dead”. Pur considerando Ulysses il capolavoro di Joyce, Trevor prende soprattutto da Dubliners e si concentra sui temi della paralisi sociale e della impossibilità di cambiamento, rivelati attraverso sottilissime caratterizzazioni psicologiche e l’uso di un discorso indiretto libero che rivela finanche i silenzi dei personaggi senza mai dichiararli espressamente.
La storia di Love and Summer si svolge in un piccolo villaggio rurale in Irlanda, Rathmoye, un paesino tanto compatto quanto claustrofobico in cui tutti si conoscono e sembrano fare da sempre la stessa vita, compiere le stesse azioni e, soprattutto, provare da sempre gli stessi, infiacchiti, sentimenti. Tutti sembrano legati gli uni agli altri da taciti vincoli di fratellanza, comunanza e tradizione, da esperienze condivise tra le mura del paese, da memorie di un passato comune che pare ripetersi nel presente e proiettarsi verso il più statico e stagnante dei futuri. Florian, un fotografo dilettante, arriva da un paese limitrofo e compare a Rathmoye durante un funerale. Il suo portamento particolare e il suo carattere "elegante eppure trasandato" colpiscono la giovane Ellie, risvegliando da subito, attraverso "un'impressione contraddittoria", i suoi sensi e la sua sensibilità. Ellie è una donna rispettabile e silenziosamente tormentata, vive con stoico eroismo una vita coniugale e domestica immersa in un'ossessiva ripetitività e in un'atmosfera soffocante. Suo marito vive infatti in un mutismo rarefatto, perennemente ossessionato dalla tragica morte prematura della prima moglie e della figlia. In virtù della stima reciproca e, soprattutto, della mutua solitudine, i due si sono sposati, accettando la vita in comune come una sorta di benedizione. Il loro è un rapporto ricco di affetto spontaneo e solidarietà, che però nasconde frustrazioni inespresse e la mancanza di un vero sentimento amoroso. Il carattere artistico e indipendente di Florian permette dunque a Ellie di intravedere uno spiraglio di libertà e di rinnovamento sentimentale. Florian è infatti in procinto di lasciare l'Irlanda in cerca di una nuova e più avvincente esperienza, e l'estate è l'ultimo periodo che egli passerà lì. E proprio durante l'estate, Ellie dovrà riflettere e scegliere se partire o meno con il ragazzo, se lasciarsi andare al rischio della novità o tenere salda la sicurezza di una vita monotona.
La sintassi è molto elaborata ma allo stesso tempo fluida nel riprodurre l’espansione e insieme la sospensione temporale dei mesi estivi, e il ritmo narrativo lento e ragionato: Trevor ci permette di penetrare nelle psicologie dei personaggi, di attraversare i loro pensieri più intimi e di intuire i sentimenti più contraddittori e difficilmente verbalizzabili. L'amore del titolo va infatti inteso come l'unico mezzo per sottrarsi alla circolarità dell'esperienza: un sentimento contaminato dall'insoddisfazione e dal desiderio di trasporto e fervore. Proprio grazie a questa (attualissima) contraddizione tra amore puro e amore fittizio/consolatorio, Trevor riesce, come Joyce, a speculare sulla decadenza dell'Irlanda rurale del tempo, sull'apatia dei suoi abitanti, sul carattere malinconico di un paesaggio che è idilliaco solo nel suo involucro. Le riflessioni sono dunque molto affini a quelle di Gabriel Conroy, anch'egli affetto dalla stessa ristagnante immobilità sociale. Una lettura più attenta rivela però una sorprendente affinità con un altro racconto di Joyce, Eveline, nel quale la protagonista conduce un'esistenza piatta e monocorde ed è chiamata, come Ellie, a seguire il fidanzato in un'avventurosa vita oltreoceano. Sono donne che oggi potremmo considerare deboli ma che in realtà celano una ricchezza psicologica elevatissima le cui sfumature riescono a prendere vita grazie alla maestria con cui i due autori usano le parole.