Addio professore, ci mancherà
Grazia Cherchi definì Il nome della rosa di Umberto Eco “un romanzo da goliardi”. A proposito de Il pendolo di Foucault, Pietro Citati sentenziò: “La macchina dell' intreccio... si addormenta, sostituita da un diligente bignami dell' occulto”.
Allora ecco che Umberto Eco stupisce tutti con Numero Zero (Bompiani). Soltanto 180 pagine, inusuale per un libro dello scrittore semiologo. Curiosità: il professore iniziò a scriverlo nel 1994, dopo L'isola del giorno prima, poi però si fermò per scrivere Baudolino. Poi sono sopravvenuti sempre nuovi progetti e finalmente, dopo Il cimitero di Praga, del 2010, ha deciso di concluderlo.
Il romanzo si apre in una Milano allucinogena del 1992, dove un gruppo di giornalisti fonda un nuovo quotidiano che, in cerca di popolarità e influenza, vive di storie a buon mercato, ricatti, denigrazione, falsi scoop , mentre qualcuno, architetta un mostruoso piano immaginario di dominio del mondo, dando vita a una catena di eventi inspiegabili che sembrano pura fantasia fino a quando un programma della BBC rivela che, forse, è tutto vero. E infatti, partendo dalla Milano di Tangentopoli, il romanzo, retrocedendo cronologicamente, in puro stile Eco, tra complotti e (fanta)storia, tocca i segreti e le tragedie degli anni del dopoguerra: Gladio, la loggia P2, il neofascista golpe Borghese, il terrorismo delle Brigate Rosse, la misteriosa morte, forse è un omicidio, di Papa Giovanni Paolo I, fra servizi segreti corrotti, longa manus della Cia, stragi e piste false. Dal punto di vista politico, il 1992 iniziava senza grandi novità. La legislatura stava volgendo al termine. Il Governo, presieduto da Giulio Andreotti, si apprestava ad organizzare le elezioni politiche in primavera.
Al Quirinale c’era Francesco Cossiga, un democristiano che negli ultimi tempi, complice anche una certa ‘stanchezza’ dell’opinione pubblica verso la classe politica nazionale, aveva iniziato a fare dichiarazioni poco ‘politically correct’. Le famose ‘esternazioni’, cosi si usava chiamarle in quel periodo. La maggioranza di governo, un quadripartito formato da democristiani, socialisti, liberali e socialdemocratici, era retta dall’accordo tra il capo dell’esecutivo Giulio Andreotti, il segretario della Dc Arnaldo Forlani ed il segretario del Psi Bettino Craxi. Il cosiddetto ‘CAF‘ (dalle iniziali dei tre), nato qualche anno prima e che avrebbe dovuto portare i tre leader a spartirsi le cariche istituzionali dopo le elezioni di aprile.
Andreotti o Forlani sarebbero saliti sul Colle ed a Craxi sarebbe andata la poltrona di Presidente del Consiglio. Un disegno già scritto nei patti. Un progetto però che non si sarebbe mai realizzato, abbattuto dall’inchiesta giudiziaria che da li a qualche mese avrebbe sconvolto il nostro Paese. Il 17 febbraio 1992 infatti, a Milano, veniva arrestato il presidente del Pio Albergo Trivulzio, un istituto di degenza per anziani. L’accusa era quella di aver preso una tangente dalla ditta di pulizie, costretta a pagare la ‘mazzetta’ per poter continuare a lavorare. L’arrestato si chiamava Mario Chiesa ed era anche un esponente locale del Partito Socialista. Ecco il Professor Eco parte da qui poi potremmo essere dentro la trama de I Tre giorni del Condor di Sidney Pollack dove Joe Turner (un magistrale Robert Redford) con il nome in codice di Condor, lavora presso un ufficio distaccato della CIA per la ricerca e la decodificazione di romanzi sospettati di nascondere messaggi cifrati.
Un giorno, rientrando dopo una pausa del lavoro, trova tutti i suoi colleghi massacrati. Da quel momento inizia una delle più serrate cacce all'uomo della storia del cinema, dove il protagonista per riuscire a sopravvivere tenta di scoprire cosa si nasconde dietro omicidi tanto efferati. Nella fabbrica del cattivo giornalismo raccontata da Umberto Eco viene arruolato il dottor Colonna, studioso di Heine e traduttore dei tedeschi. Un perdente colto, che è andato elaborando un’interessante teoria “Il piacere dell’erudizione è riservato ai perdenti: se vuoi vincere devi sapere una cosa sola e non perdere tempo a saperle tutte”. È Colonna il disincantato antieroe che si muove in una città sepolcrale, tra i passaggi segreti di via Bagnera e la chiesa di San Bernardino alle Ossa. Un profumo di morte pervade anche il paese e la storia fangosa degli ultimi decenni.
Trame oscure su cui indaga il complottista ossessivo Braggadocio, fino a divenire schiavo dei suoi deliri: è convinto che a Giulino di Mezzegra non fu ammazzato Mussolini ma il suo sosia. Un professor Eco caustico, cinico, agghiacciante, un romanzo metà strada fra il dramma satirico e la commedia nera, un ritratto feroce e spietato non tanto dell’ Italia o del mondo dell’ informazione, quanto piuttosto della società dell’apparenza e dello spettacolo, una società che si lascia dettar legge dal piccolo schermo e dai media, e che costruisce e abbatte i propri idoli con un semplice tasto del telecomando. Il dramma che si trasforma in successo, per quanto effimero e tragico depressione e la sconfitta, morti violente, ad una sostituzione coatta dettata da crude esigenze economiche. Sicuramente il romanzo più riuscito di uno dei padri della Neoavanguardia, che maturò agli inizi degli anni '60 e che sbocciò nel Gruppo 63 l'immagine di un'epoca che non fu, di una promessa non mantenuta, di un'Italia che avrebbe potuto essere, ma non si potè o non si volle realizzare.